Bankitalia chiede riforme: “ma il debito italiano regge”

Bankitalia chiede riforme: “ma il debito italiano regge”

Nel Rapporto sulla stabilità finanziaria 2011, primo atto ufficiale da governatore, Ignazio Visco ha ribadito la linea di rigore della Banca d’Italia. «Per riconquistare la fiducia degli investitori e ridurre in maniera permanente il rischio sovrano (leggi i tassi pagati agli acquirenti di titoli di Stato, ndr), per preservare la stabilità del sistema finanziario, è necessario proseguire con decisione nell’azione di risanamento delle finanze pubbliche», si legge nel documento. Il neo governatore, al suo secondo giorno di mandato, ha ricordato al governo che «l’impegno assunto in sede europea a ridurre il debito pubblico e avviare un ampio programma di riforme strutturali va onorato, con rapidità e coerenza». Indicazioni severe ma che non costituiscono una sorpresa rispetto alla linea consolidata di Bankitalia.

Bisogna invece arrivare alle pagine 14 e 15 del Rapporto, per trovare una notizia in grado di allentare un poco l’angoscia alimentata dall’andamento dello spread, il differenziale di rendimento pagato dai titoli di stato italiani rispetto al Bund, arrivato fin sopra il 4,5 per cento. L’aumento dei rendimenti dei titoli di Stato ha accresciuto i timori sulla sostenibilità del debito pubblico italiano. La paura, cioè, che la spesa per interessi arrivi a un punto tale da costringere ad emettere nuovo debito per riuscire a pagare gli interessi. 

In un esercizio di simulazione, una sorta di “stress test” sui conti pubblici, il servizio studi di Via Nazionale ha verificato che nei prossimi tre anni l’Italia sarebbe in grado di reggere tassi di interesse dell’8% e anche oltre, senza aumentare il rapporto debito/Pil, ma anzi – a seconda delle ipotesi estreme adottate – si ridurrebbe (al 115,5% nel 2014) o si stabilizzerebbe «poco al di sopra del 120 per cento». Le previsioni ufficiali del governo, che incorporano il rialzo dei tassi osservato fino a settembre e gli effetti delle manovre estive, indicano invece un rapporto debito/Pil al 120,6% nel 2011 e al 112,6% nel 2014.

Le conclusioni degli stress test effettuati da Bankitalia sul debito pubblico  contrastano con le ipotesi formulate da diverse banche d’affari. In particolare, la Goldman Sachs ha individuato nel 6% la soglia limite di tasso oltre il quale il costo del debito pubblico italiano diventerebbe insostenibile, generando una spirale interessi-debito il cui esito ultimo sarebbe l’impossibilità di onorare gli impegni verso i creditori (default). Non rasserenano gli animi nemmeno i precedenti di Grecia, Irlanda e Portogallo. La soglia del 6%, fanno notare gli analisti del Crédit Suisse, è stato il punto definitivo di rottura della fiducia del mercato e il punto di non ritorno verso il baratro finanziario, seguito dopo circa tre mesi dallo sfondamento di quota 7% e dagli interventi d’emergenza di Bce, Unione europea e Fmi. Oggi i Btp italiani a 10 anni pagano un rendimento del 6,2 per cento.

Per valutare come il rapporto debito/Pil sarebbe influenzato da uno shock al costo della raccolta, scrive la Banca d’Italia «in un primo scenario alternativo si è ipotizzato che dal gennaio 2012 i rendimenti su tutte le nuove emissioni di titoli pubblici subiscano un incremento di 2,5 punti percentuali rispetto al quadro di base» rilevato a settembre. Il “quadro base” fotografa il costo medio della raccolta prevedibile a settembra sulla scorta dei tassi futuri impliciti (i cosiddetti tassi forward) nelle quotazioni dei titoli di stato a settembre. Un dato che si aggira sopra il 6 per cento. In sostanza, ci si immagina che dal prossimo anno i tassi di interesse sulle nuove emissioni arrivi all’8,5 per cento. In questo scenario sfavorevole, e tenuto conto anche gli effetti del quadro economico generale sul bilancio pubblico, il rapporto debito/PIL si ridurrebbe fino al 115,5% nel 2014. 

Elaborazione Banca d’Italia su Nota di aggiornamento del Documento di Economia e finanza 2011

La Banca d’Italia ha effettuato una seconda simulazione ancora più drastica. Si è ipotizzato che l’aumento dei rendimenti si ripercuota negativamente sulla crescita, annullandola nel triennio 2012-14, periodo nel quale il Documento di economia e finanza 2011 del governo prevede un aumento del Pil dello 0,6% nel 2012, dello 0,9 nel 2013 e dell’1,2 nel 2014. L’ipotesi della crescita zero è più che un semplice spauracchio, ma riflette anzi «le stime disponibili circa gli effetti di un aumento degli spread sull’attività economica». Si stima che un aumento di un punto percentuale dei tassi aumenti la spesa per interessi dello 0,2% del Pil nel primo anno, dello 0,4% nel secondo e dello 0,5%. La gradualità dell’impatto è dovuta al fatto che i titoli di stato italiani hanno una vita media residua elevata (oltre sette anni) e sono per lo più a tasso fisso. Un calo di un punto percentuale della crescita riduce invece l’avanzo primario dello 0,5% del Pil. Anche in questa ipotesi di «stagnazione prolungata dell’economia reale, il debito pubblico italiano si stabilizzerebbe poco al di sopra del 120 per cento del Pil». Non sono state effettuate, va sottolineato, simulazioni con tassi superiori all’8,5 per cento.

A queste condizioni, dunque, non ci sarebbe quel corto circuito fra interessi e debito che porterebbe dritti al default. Per lo meno, non per tassi intorno all’8,5 per cento.In giorni di allarmi e allarmismi, è sicuramente una notizia confortante. E che peraltro regala una soddisfazione non da poco al ministro dell’Economia Giulio Tremonti, finito all’angolo dopo la prima lettera della Bce al governo Berlusconi. Questo nel giorno in cui si è riunito il Comitato per la salvaguardia della stabilità finanziaria presieduto dal ministro e partecipato dai presidenti di Consob (Giuseppe Vegas), di Isvap (Giancarlo Gianni), dal governatore della Banca d’Italia, oltre al direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli, lo stesso che Tremonti voleva alla guida di Via Nazionale. 

Ma è anche una notizia che non esime qualsiasi governo dal prendere provvedimenti necessari per ristabilire un minimo di fiducia con i creditori e avviare subito le riforme strutturali (pensioni, lavoro, concorrenza, pubblica amministrazione, giustizia) di cui l’Italia ha bisogno. Perché se è vero che il debitore Stato italiano può permettersi di sostenere interessi più alti di quelli attuali, è anche vero che questo vuol dire sottrarre risorse alle altre voci del bilancio pubblico. E questo è un costo che i cittadini italiani non possono permettersi. Men che meno di ripetere l’esperienza di Grecia, Irlanda e Portogallo. L’8,5%  sembra lontano ma può diventare realtà nell’arco di pochi mesi.

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