“Berlusconi e Sarkozy, due leader usurati di un’epoca finita”

“Berlusconi e Sarkozy, due leader usurati di un’epoca finita”

Chi ci salverà dal Sarkoberlusconismo? «Nessuno, per il momento», risponde Pierre Musso, autore del termine sarkoberlusconismo e del saggio che lo porta come titolo. Un termine che indicherebbe l’ideologia dominante degli ultimi anni nella politica italiana e francese. «Un modello politico neoliberale euro-mediterraneo di tipo bonapartista. Combina l’autorità dello Stato, la riverenza per il cattolicesimo e il rapporto con l’impresa», queste le parole dello stesso Musso.

L’inventore di questo modello è Silvio Berlusconi. Un esempio seguito, quasi di nascosto, da Sarkozy: mentre il mondo occidentale criticava il populismo del Cavaliere, lui ne copiava le mosse sia a livello politico che strategico. E così, per anni, questa forma di «neothatcherismo adattato per Paesi del mediterraneo» ha funzionato. Allo stesso modo, anche i rapporti tra i due uomini politici sono andati, più o meno a gonfie vele. Ora, però, tutto questo sembra caduto in crisi.

«Ci sono molte motivazioni, sia per spiegare la caduta del sistema politico – spiega il professor Musso – sia per la crisi tra i due personaggi». Nel caso italiano, cioè Silvio Berlusconi, il problema è un «suo indebolimento». A logorare il Cavaliere «non sono solo motivi economico-finanziari», ma anche «dissidi interni» e problemi d’immagine. Quali? Li conosciamo tutti: Fini, i frondisti, il bunga bunga, i processi.

Nel caso di Nicolas Sarkozy la questione è più complessa: il presidente francese «ha abbandonato il Sarkozy delle origini, quello della sua prima era di governo». E «ha rotto con il presidenzialismo classico, alla De Gaulle o alla Chirac», che lui stesso aveva ereditato. Cioè? «Andando così lontano, ha perso il consenso della fascia più anziana della popolazione, anche di destra». Ma in che senso? «Forme di teatralità anti-politica, lontane dallo Stato (che in Francia è come una monarchia costituzionale) in Italia funzionano bene, e Berlusconi ne è l’esempio. Qui, no». E poi le sue battaglie sulle pensioni, vinte, gli sono costate molto in termini di consenso. Risultato? «Ora, il sarkoberlusconismo è in crisi. Una crisi finale».

Non solo: i due leader ora sono divisi, quasi in contrasto su tutto. Caso eclatante: le risate di Sarkozy su Berlusconi, che hanno generato polemiche su ogni fronte. «Quello, in realtà, è più un segno dello sguardo del Nord sul sud Europa, in generale. Paesi come Italia, Grecia e Spagna, il club Med, per dire, sono visti con sospetto e scetticismo», siega il professore. Ma all’origine di tutto «c’è la guerra di Libia: entrambi i paesi hanno una politica mediterranea, e in questo caso l’iniziativa di Sarkozy ha senz’altro danneggiato Berlusconi».

Le esigenze del presidente francese, però, erano più che altro interne: «doveva evitare un altro “caso Tunisia». Cioè? «l’inattività del governo nei confronti della primavera tunisina era piaciuta poco alla componente araba della Francia, che consistente». E Sarkozy doveva cambiare rotta: questione di consenso, e poi di un «ruolo militare che la Francia riconosce a sé stessa. Più forte, complice anche la possibilità nucleare, che la Germania e ovviamente l’Italia, non hanno», specifica.

Ma ancora non è stato spiegato il motivo, profondo del distacco tra i due. «Credo che vada cercato nella politica. O meglio, nell’ideologia che i due condividono», risponde. Ma in che senso? «L’immagine dell’imprenditore, molto amata dalla visione neoliberale e incarnata dallo stesso Berlusconi, ha fallito proprio con lui. E sono i mercati finanziari a dirlo». Nel senso che «Berlusconi non è riuscito ad applicare le riforme che aveva promesso, che doveva fare». Sarkozy, invece sì. A caro prezzo, certo. «Ha perso molto in termini di consenso, ma è riuscito. Berlusconi ha perso anche di più, ma senza fare le riforme». Di conseguenza, «credo che sia, per Sarkozy, la consapevolezza di averlo superato. Questo lo rende critico nei confronti di Berlusconi» il quale, del resto «è anche usurato: dopo 9 anni di berlusconismo vero e proprio, e 17 di politica. Un record, risultato anomalo, un grande successo», che però è finito. Doveva finire, prima o poi. «Ma non da solo», annuncia inquietante il professore.

In che senso? «Non sono finiti solo i due presidenti, il loro carisma e le loro idee. È tutto il sistema del neoliberismo che soffre», spiega. Colpa della crisi del 2008, che continua tuttora, e di un «problema profondo e gravissimo». Cioè? «Che non c’è un’alternativa. La crisi è sia del sarkoberlusconismo, sia delle forze di centrosinistra. Il primo è esaurito. Le seconde non sanno esprimere idee, progetti, energie nuove». Per questo, spiega, «nessuno ci può salvare, ora».

Ma il futuro, per forza di cose, arriverà lo stesso. «Sì, in Italia però non vedo soluzione. A livello sociale, il berlusconismo con annessa la tele-realtà, è un fenomeno profondo, che tocca le radici. Ci vorrà molto per cambiare». E a livello politico? «Dopo Berlusconi, forse verrà un’alleanza. Ma chi potrà guidarla? Alfano, non credo». Forse, immagina «ci sarà una serie di governi brevi, brevissimi, come quelli della prima repubblica». Insomma, di nuovo un periodo dominato dall’instabilità. «Berlusconi almeno aveva portato un sistema più stabile. Dopo di lui sarà tutto in mano a tanti piccoli capi». Ma qualcuno potrà sostituirlo? «Non mi sembra. Fini, pensa? No. Casini, forse? Nemmeno», conclude

«In Francia le cose vanno un po’ meglio», aggiunge. Nel senso «che tutto sarà più semplice: il Partito Socialista è forte. Non ha un programma nuovo, certo. Non esprime nemmeno una leadership, non sa offrire idee interessanti. Ma almeno si muove in un contesto di repubblica presidenziale. E in un sistema bipolare». L’Italia, ricorda, ha ancora il sistema che in Francia vigeva nella quarta Repubblica, finita nel 1958. Insomma, i sondaggi parlano chiaro. Le avventure politiche dei due presidenti sono finite, o quasi. Mentre l’orizzonte è cupo, scurissimo. «Per l’Italia. Da noi, un po’ meno», ridacchia. 

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