«Ingroia rischia di compromettere l’immagine di autonomia della magistratura»

«Ingroia rischia di compromettere l’immagine di autonomia della magistratura»

«Cosa penso di un magistrato che partecipa al congresso di un partito e che per di più parla come un uomo di parte? Penso che dia un segnale che va nella direzione opposta a quella di qualsiasi collega che non deve soltanto essere, ma anche apparire imparziale». Interpellati da Linkiesta ad esprimere un parere, il leader delle toghe indipendenti e moderate, Cosimo Maria Ferri, segretario generale di Magistratura indipendente, e Stefano Schirò alto magistrato della Corte di Cassazione, non lesinano le critiche dopo il “caso Ingroia”.

«In un momento in cui la fiducia nella magistratura da parte dei cittadini sta calando, occorrono risposte nuove che sappiano evidenziare una chiara volontà di cambiare marcia. Da parte di larghi e maggioritari settori dell’opinione pubblica c’è più di una perplessità nei confronti della magistratura e siamo oggetto di forti critiche che si levano da più parti. La stragrande maggioranza dei magistrati è agli antipodi da queste forme di esposizione irrituali e passa il proprio tempo nelle aule giudiziarie a fare processi ed a scrivere sentenze. È questa parte di magistratura, concentrata nel dare risposta di giustizia a tutti i cittadini, che può e deve farsi sentire oggi per dare il là ad un nuovo modello di giustizia che recuperi appieno i valori del merito e dell’efficienza e che sia al passo con i tempi tanto difficili ma tanto stimolanti che stiamo vivendo e che ci proietteranno verso il futuro».

A Ferri chiediamo se non pensi che Antonio Ingroia abbia avuto buone ragioni per partecipare al congresso del Pdci di Oliviero Diliberto. «Il punto non è quello delle buone ragioni. Lo scontro di questi ultimi anni tra magistratura e politica richiede una risposta chiara e comprensibile dai cittadini. L’unico modo consiste nel prevedere norme che non consentano a chi lascia la toga per entrare in politica di farvi ritorno, e di candidarsi e svolgere ruoli politici ed amministrativi nei territori dove si esercitano le funzioni giudiziarie. Si può arrivare a ciò solo con una modifica legislativa che spetta alla politica».

Il numero uno di Magistratura indipendente è dunque favorevole alla separazione netta tra magistratura e politica? «È nell’interesse dei magistrati, delle istituzioni e dei cittadini. Ma, dico, ha letto l’intervento del professor Carlo Malinconico sul Corriere di domenica? Questo ex alto dirigente dello Stato richiama tutti sulla necessità di selezionare la nuova dirigenza degli apparati dello Stato secondo criteri meritocratici e trasparenti. Questo è quello anche ciò che ci chiedono i colleghi più giovani, che non sono interessati ad entrare in magistratura per dare corso ad un impegno politico, ma desiderano servire lo Stato, combattere la criminalità, far vincere la legge, affermare il primato della legalità. E ciò può avvenire solo e soltanto se inviamo un messaggio chiaro ai colleghi che hanno da poco iniziato la professione: chi studia, chi lavora, chi si impegna, farà strada».

È un problema che si avverte anche tra i magistrati, quello meritocratico? «Certamente! Anche il mondo della giustizia – prosegue Ferri – non può sottrarsi a questo cambio di logica. Prendiamo il Consiglio superiore della magistratura: ebbene, deve saper scegliere e puntare su dirigenti degli uffici giudiziari capaci e preparati, deve saper liberarsi del tutto dall’influenza correntizia che troppe volte condiziona le promozioni e deve valutare gli aspiranti secondo criteri predefiniti e finalizzati a scegliere davvero i più meritevoli. I dirigenti devono essere confermati solo se raggiungono effettivamente I risultati e gli obiettivi indicati. Per far ciò lo Stato deve garantire mezzi e risorse, prevedere anche forme di autofinanziamento, consentendo di utilizzare in loco le entrate derivanti dal contributo unificato, dalle pene pecuniarie, dalle somme confiscate».

Stefano Schirò, consigliere della Corte di Cassazione e componente del comitato direttivo dell’associazione magistrati, risponde così alle domande de Linkiesta sulla “partigianeria” di Ingroia, togato da sempre vicino a Magistratura democratica: «Non compete al magistrato in quanto tale opporsi a procedure di revisione della Costituzione che si svolgano nelle aule parlamentari nel rispetto delle regole costituzionali. È inopportuno e sconveniente che un magistrato intervenga al congresso di un partito politico e partecipi con dichiarazioni pubbliche al dibattito politico che in tale congresso si svolge. Con un tale comportamento si corre il rischio di compromettere l’immagine di autonomia e di indipendenza della magistratura, autonomia e indipendenza che costituiscono cardini dell’assetto costituzionale della magistratura medesima e valori fondanti di quella Costituzione che si afferma voler difendere».

Schirò ci va giù duro stroncando il comportamento di Ingroia. Ma il malessere espresso da Ferri e Schirò riflette un disagio pressoché unanime dentro l’Anm se persino Giuseppe Cascini (Magistratura democratica) – che da segretario dell’associazione aveva preso parte ad un convegno del partito di Nichi Vendola – si è preso la briga di intervenire per stigmatizzare il collega e compagno di corrente. 

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