In tempi di crisi, può accadere anche che un premio non venga assegnato. Non per scarsità di fondi, ma per mancanza di candidature. Dopo quattro anni di “onorata carriera” e di numerosi riconoscimenti alle amministrazioni locali che hanno investito in progetti per lo sviluppo del territorio, il premio Pimby del 2011 è ufficialmente “non pervenuto”, come annunciato dagli organizzatori. Un ulteriore segno che, da antesignani e pionieri delle opere infrastrutturali quali eravamo, siamo diventati un paese di “No-Tav”.
L’associazione Pimby (acronimo di “Please in my back yard”) – fondata, tra gli altri, dall’ex ambientalista, Chicco Testa, e dal curatore della rivista Formiche, Paolo Messa – è nata nel 2007 con l’obiettivo ambizioso di vincere l’atteggiamento ben radicato nella cultura italiana, tipico della sindrome Nimby (“Not in my back yard”). L’acronimo è stato scelto dagli inglesi per identificare il comportamento di quelle amministrazioni locali e di quei gruppi di cittadini che ostacolano la localizzazione di opere pubbliche o private perché destinate a modificare l’assetto dei loro territori. Il fenomeno più noto in Italia è quello dei No Tav, ma anche le battaglie contro l’apertura di discariche, la creazione di termovalorizzatori e, in un futuro che ora sembra molto lontano, di centrali nucleari.
Una battaglia “per una cultura sostenibile del fare” che sembrava dare buoni frutti, non mancando nelle precedenti edizioni esperienze significative e positive: una ventina di candidature ogni anno con circa cinque premiati, senza farsi mancare nemmeno le menzioni speciali.
Che l’aria fosse cambiata, gli habitué della manifestazione l’avevano già intuito dal cambio di orario e location dell’evento di premiazione: una serata di gala con cena placè all’Open Colonna si è trasformata in un cocktail frugale al tempio di Adriano. Ma chi non avrebbe dato la colpa alla crisi economica? Invece no, la penuria c’era… ma di investimenti e buone pratiche.
Quest’anno, la clessidra – premio simbolico scelto dall’associazione – era una sola e destinata ad una categoria inesistente ma simbolica (“non pervenuta”, appunto). Il 2011 può essere considerato un annus horribilis per l’energia, i rifiuti, le infrastrutture e le trasformazioni del territorio. Oltre alla tragedia di Fukushima, l’Italia ha detto “no” (per la seconda volta, dopo 30 anni) al nucleare e vissuto gli scontri violenti in Val di Susa per la Tav.
I dati pubblicati dall’Osservatorio Nimby Forum, a maggio scorso, avevano già chiarito la portata della contestazione alle nostre opere infrastrutturali. La paura, la disinformazione e la scarsa fiducia nella politica dei cittadini insieme alla tendenza della ricerca del consenso a breve termine dei politici hanno immobilizzato il Paese.
Secondo la ricerca realizzata dall’istituto Aris per l’Osservatorio, gli impianti contestati in Italia sono 320 e di questi più della metà, per l’esattezza 162, sono entrati a far parte della casistica “Nimby Forum” già nelle edizioni precedenti, alcuni praticamente “veterani” perché presenti fin dalla prima analisi condotta nel 2004 sempre dall´Osservatorio. Ci sono 36 impianti che sono fermi dov’erano già sei anni fa.
Le cose, però, non sono sempre state così in Italia, come ha ricordato il giornalista del Corriere della Sera Sergio Rizzo: «Siamo gli ultimi nella classifica delle infrastrutture ma i primi quanto ad abusivismi e speculazioni». Rizzo ha ricordato che pur essendo stati i primi ad avere nel 1936 l’elettrotreno ETR 200, progenitore dei treni ad alta velocità, e nel 1970 la prima linea ad alta velocità, la direttissima Roma-Firenze, oggi abbiamo solamente 876 chilometri di Alta Velocità circa un quarto della Spagna (3230) e poco più di un terzo della Francia (2125). La storia non cambia per i porti: i nostri sette porti principali raggiungono un terzo del traffico del porto di Singapore, e siamo a pari merito con Amburgo. Senza contare il regresso sulla situazione delle autostrade: l’Autostrada del Sole è stata ultimata nella metà del tempo che si sta rendendo necessario per l’adeguamento della Salerno- Reggio Calabria, che non è ancora stata ultimata e che ci sta costando circa cinque volte di più.