MADRID – I socialisti spagnoli “perdono” anche il dibattito televisivo, l’unico faccia a faccia di questa campagna elettorale per le elezioni generali del 20 novembre, iniziata da tre giorni e di cui già si conosce l’esito. Il candidato dei popolari alla presidenza del governo spagnolo, Mariano Rajoy supera per gradimento di cinque punti percentuali il candidato socialista Alfredo Perez Rubalcaba, noto per la sua dialettica e indicato fino all’ultimo sondaggio di una settimana fa come miglior leader spagnolo, nonostante la grave sconfitta del suo partito nei pronostici. E per la prima volta in un dibattito politico per le elezioni di un paese europeo a vincere davvero è la crisi economica.
Terreno duro per il candidato socialista che sotto accusa da parte del suo rivale per l’intero faccia a faccia, in quanto ereditario del governo dimissionario e di conseguenza colpevole agli occhi dei cittadini spagnoli dei gravi dati sulla disoccupazione (5 milioni di disoccupati) del paese iberico. Dal canto suo Rajoy, ad oggi indicato come futuro presidente del prossimo governo spagnolo, sembra non aver bisogno di spiegare nei dettagli il suo programma. Ciò che vince è il cambiamento, e per questo basta un programma anche “ambiguo” e “fumoso”, secondo l’accusa del socialista.
Un gioco al rimpiattino, più che un dibattito televisivo quello celebrato nella sede dell’Accademia delle scienze e delle arti televisive di Madrid, al cospetto di più di 600 media nazionali ed internazionali, con un partito socialista che se ne va quasi con vergogna e un partito popolare che viene scelto quasi per rassegnazione. E il movimento degli Indignados riunito alle porte dello studio televisivo per manifestare contro il teatro del bipartitismo imperante e la spesa di 500mila euro servita a metterlo in scena.
La crisi contro il benessere, la disoccupazione contro i tempi d’oro della crescita galoppante della Spagna, l’austerità economica anche a discapito delle politiche sociali, asso nella manica: dei socialisti. Sono apparsi chiaramente molto lontani sugli schermi di milioni di spagnoli i tempi delle vittore a mani basse dei socialisti, delle risposte imbarazzate dello storico rivale di Zapatero nei dibattiti. Nel faccia a faccia in tempo di crisi, senza più il carisma mediatico dell’ex dibattente ora dimissionario, anche se più volte per lapsus invocato da Rajoy in questa occasione, gli unici conigli che possono uscire dal cilindro sono i dati sulla disoccupazione, rinfacciati da Rajoy al suo rivale insieme a tutto il peggio fatto dal governo di cui fino a pochi mesi era Ministro degli interni. Non solo il peggio, anche il non fatto e ora ripromesso: dall’aumento delle tasse ai redditi alti a quelli alle banche, ad una politica di crescita e di sostegno al lavoro, peggior dato quest’ultimo che la Spagna presenta in Europa.
Il socialista Rubalcaba presenta la sua ricetta contro la disoccupazione e per la ripresa economica. Tre punti chiari: accordo con le parti sociali per l’occupazione attraverso deduzioni fiscali alle imprese che assumono o che aprano ai contratti di formazione (da un 100% il primo anno, a scalare nei prossimi anni); incentivazione del credito alle imprese, e richiesta in sede europea di un’applicazione graduale dei tagli, in modo da poter mettere in piedi nel frattempo politiche per la crescita e continuare a garantire servizi pubblici come pensioni e sanità.
Dal canto suo il candidato dei popolari insiste sulla creazione di posti di lavoro. Questa la sua ricetta contro la crisi. Lavoro, lavoro, lavoro. Se c’è lavoro si pagano più tasse, con le tasse si finanzia la cosa pubblica, se le amministrazioni hanno maggiori entrate possono garantire pensioni, sanità pubblica, educazione e benessere sociale. Rajoy non fornisce dettagli, nonostante le domande incalzanti del rivale. Il dibattito per il leader dell’attuale opposizione ha un solo punto forte: i dati negativi della politica del governo socialista. Ed è qui che il candidato popolare inizia a snocciolare numeri, ed è su questo terreno che cerca e ottiene la disfatta della credibilità del rivale. L’arma di Rajoy si chiama tasso di disoccupazione, il peggiore d’Europa. Ripercorre la storia degli ultimi due anni, il candidato dei popolari, e passo dopo passo fa riaffiorare la miopia del governo Zapatero nell’intercettare la crisi, le misure inadatte prese per arginarla, la bolla immobiliare, il crollo dei consumi, i 41 dibattiti alla Camera bassa sulle misure anticrisi. Ma soprattutto Rajoy ricorda agli spagnoli che non c’è scusa che tenga. La crisi è globale, sì, ma esistono Paesi in cui, con le giuste misure e facendo una buona politica economica si è salvato anche più del salvabile.
Sul piano della credibilità, però, i popolari non escono intonsi da questo dibattito. La bolla immobiliare, che Rubalcaba ammette che il governo socialista non ha saputo frenare in tempo, in realtà, ricorda, è iniziata proprio dalla legge per la “libera” costruzione e la conversione dei terreni agricoli in edificabili, quella stessa fatta dai popolari nel 1998. E per quanto riguarda il resto del programma di Rajoy per la sua ambiguità neanche Rajoy sa spiegarlo davvero agli spagnoli. Ma qualcosa si legge tra le righe. Rubalcaba prova a sintetizzare ciò che sembra spettare alla Spagna dei prossimi anni: aiuti alle banche, tagli ai sussidi di disoccupazione, tagli all’educazione e alla sanità, fuoriscita delle piccole e medie imprese dal contratto collettivo di lavoro e un crinale lavorativo che porta dritto alla flessibilità indisciplinata. Ma Rajoy prova a spiegare: la sua ricetta la dice alla fine, dilazione nel pagamento dell’Iva, deduzioni per le imprese che assumono, tagli alle spese delle amministrazioni, ristrutturazione delle banche per generare attività economica.
Finito il capitolo del dibattito sull’economia, a poco serve la seconda parte, quella sui temi sociali e della democrazia, terreno storicamente sicuro per i socialisti. Ad ogni argomento del candidato socialista Rajoy apporta dati negativi, ad esempio quelli dell’Eurostat che darebbe la Spagna come 4° paese europeo per peggior divario tra ricchi e poveri. Rubalcaba racconta la sanità che funziona, l’educazione pubblica, le pensioni e per continuare a finanziare la spesa in questi settori propone l’aumento delle accise su alocool e tabacco. Ma Rajoy torna ad incalzarlo anche qui rinfacciando al rivale i tagli del governo Zapatero al fondo di coesione, alla sanità e al finanziamento per la cosiddetta strategia di salute, solo per citarne due.
Insomma, anche la seconda parte del dibattito sembra segnata: i popolari vincono a mani piene e anche senza un programma convincente, i socialisti perdono per l’amara eredità degli ultimi anni e non riescono a condurre il dibattito neanche quando si tocca il dolente tasto dei diritti sociali: matrimonio omosessuale, aborto, fine vita. Il candidato popolare non si preoccupa neanche di rispondere: non è più tempo di tirare fuori certi argomenti, per gli spagnoli l’urgenza è solo una, e si chiama lavoro. E così inizia anche mediaticamente la fine della Spagna di Zapatero. Non prima che Rajoy lanci il suo messaggio di cambiamento e Rubalcaba chiarisca che non è tipo da arrendersi, che non ci si può arrendere alla crisi votando per rassegnazione il cambiamento. In un ultimo, quasi disperato appella almeno agli indecisi e all’astensionismo dei disillusi. “Andate a votare, con l’indifferenza non si creano posti di lavoro”.
Entrambi i candidati concordano, nei due minuti finali, sulla grandezza della Spagna, capace di riprendersi anche da questa crisi. E il faccia a faccia si chiude con i toni nazionalisti con cui era iniziato, quando in apertura prima il popolare e poi il socialista avevano rivolto le proprie condoglianze alla famiglia del militare morto in Afghanistan.