SAN FRANCISCO – La famiglia californiana media a fine anno festeggerà con 2,17 tablet in più a nucleo familiare ed 1,8 consolle o videogiochi nuovi. E brinderà al pensiero che probabilmente le lacrime e sangue su cui sarà chiamato ad esprimersi alle elezioni californiane del prossimo novembre saranno un po’ meno cruente. Le due cose, apparentemente agli antipodi, sono strettamente legate.
Nel modello californiano convivono aziende il cui fatturato è pari al bilancio di una nazione industrializzata, un Pil che da solo è pari al 13% di quello di tutti gli Stati Uniti (ed a quello dell’Italia) con i suoi 1.890miliardi di dollari, mentre la previsione per il 2011 è di 1.950miliardi. Un modello dove ci sono anche una spesa pubblica mostruosa, uno stato sociale ed un modello di istruzione costosissimi ma con standard di eccellenza inarrivabili.
Due i pilastri su cui tutto si regge: primo, le aziende che cambiano il mondo sono quasi tutte qui e ci devono restare. Secondo, e questo vale per gli interi Stati Uniti, le tasse le pagano quasi tutti. C’è un unico modo per non pagare le tasse negli Stati Uniti: investire. E, necessariamente, crescere. Uno stimolo per l’élite imprenditoriale ed industriale che altrove manca completamente. E in tale contesto, un aumento delle tasse che sia per pochi o che sia per tutti, non è poi così strutturale come sarebbe dalle nostre parti.
Il contesto californiano porta ad avere un’alta spesa pubblica, a tasse fra le più basse negli Stati Uniti e ad una forma di democrazia diretta che arriva a chiedere il permesso ai cittadini per aumentarle. Questo anche perché la California è condannata ad innovare, nel pubblico, nel privato e nel sociale, forzata ad essere un modello perché innovazione e creatività non si spostino su mercati più convenienti, siano l’Asia o il vicino Texas. Andare in Texas può sembrare più conveniente nel breve periodo e molte piccole imprese lo hanno fatto proprio quest’anno. Ma questo non è lo stato delle piccole medie imprese, in un mercato che richiede e premia scelte più consapevoli, anche a livello industriale. In California infatti hanno sede Apple, Google, Chevron, Intel, Wells Fargo, eBay, McKesson [la più grande health care company del mondo]. Non si parla solo di information technology dunque.
Così si spiega un modello di assistenza sanitaria terribilmente oneroso ma cui molti stati negli Usa guardano, candidato a prestigiosi premi per l’innovazione sociale e che attira ulteriori finanziamenti pubblici e privati. Così si spiega come si guardi ai modelli aziendali ed industriali non come a questioni astratte ma come eccellenze parte integrante del tessuto sociale. Quando fanno la differenza, sono in grado di produrre un gettito fiscale di cui beneficia l’intera comunità.
La voragine del bilancio della città di San Francisco è passata dai 400 milioni di dollari previsti prima dell’estate a poco più di 200milioni. Saranno ancora necessari tagli pesanti ma non tanto quanto ci si potesse aspettare, ed i 200 milioni “svaniti” non sono un tesoretto in cui ci si è imbattuti per caso o il risultato di qualche trucco di finanza creativa, sono le tasse pagate da nuove aziende e da chi ha saputo investire. Se il nuovo tablet di Amazon, il Kindle Fire, continuerà a vendere come sembra, per la California questo si tradurrà in circa 243 milioni di extra-gettito fiscale solo nell’ultimo trimestre. Potrete leggere dell’apprensione per cosa farà del proprio futuro Shigeru Miyamoto, il creatore di SuperMario, o dell’attesa per le decisioni del CEO di Zynga, non solo come notizie per businessmen o investitori di borsa, ma anche come reale preoccupazione su come le loro decisioni influenzeranno anche la pressione fiscale del californiano medio.
È questo il contesto con cui l’anno prossimo ci si recherà ai november ballots, quando il governatore Jerry Brown è deciso a sottoporre alla prova elettorale il suo piano fiscale. Un piano duro, che prevede un aumento di mezzo centesimo delle sales tax, l’imposta locale sui consumi e un aumento del prelievo fiscale per le rendite superiori ai 250 mila dollari. Un piano che secondo un sondaggio promosso proprio dall’ufficio del governatore ed i cui risultati sono stati resi noti il 13 dicembre avrebbe il consenso di oltre il 65% dell’elettorato. Una proposta a tempo, della durata di cinque anni, che garantirebbe circa 7 miliardi di dollari all’anno, circa la metà del deficit previsto per il 2012 (tra i 13 e 14,5 miliardi di dollari) soldi che verrebbero messi in un fondo speciale destinato solo ai servizi più colpiti dai tagli, l’istruzione e lo stato sociale, due altre eccellenze della California nonché i servizi più colpiti dai tagli automatici previsti in caso di un deficit superiore al miliardo di dollari.
Al momento, tuttavia, il rischio è che a novembre alle urne ci si trovi con ben sei quesiti, anche in contraddizione fra loro, su quali debbano o possano essere le misure per far tornare i conti, molte delle quali prevedono un innalzamento delle tasse per tutti esclusi i più poveri. Obiettivo del governatore è arrivare per tempo ad una mediazione affinché alcune proposte vengano accorpate e che si scongiuri il rischio che una volta votate si annullino a vicenda.