Anche gli avvocati scioperano contro le liberalizzazioni

Anche gli avvocati scioperano contro le liberalizzazioni

In tempi di liberalizzazioni, sul piede di guerra non ci sono solo i tassisti o gli autotrasportatori: ci sono anche gli avvocati. Hanno proclamato le prime due giornate di protesta “contro le liberalizzazioni selvagge e la rottamazione della giustizia” in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario, oggi a Roma alla Cassazione, e il 28 nelle Corti di Appello in tutta Italia. Seguiranno due giorni di sciopero a febbraio, il 23 e il 24.

Gli avvocati si dicono anche pronti a sit-in davanti al Parlamento e a Palazzo Chigi. «Prima l’introduzione dei soci di capitale negli studi, poi l’abolizione delle tariffe minime, ora la cancellazione di ogni riferimento al tariffario e la modifica del tirocinio», lancia l’allarme Maurizio de Tilla, presidente Oua, l’Organismo unitario dell’avvocatura italiana. Questo mentre i professionisti si sentono «già vittime di quella legge Bersani del 2006, ancora in vigore, e i cui esiti positivi sull’economia italiana sono del tutto inesistenti». Eppure si insiste sulla stessa strada, dicono. «Riteniamo che la prestazione dell’avvocato debba essere di qualità, svolta da un soggetto qualificato e specializzato in particolare nel momento più delicato che è l’assistenza al processo», prosegue de Tilla. «Occorrono per questo i minimi di retribuzione. Se poi il professionista non si prepara e ha solo l’iscrizione all’albo non è garanzia per l’utente che rischia moltissimo». Perché «il vero nodo è la qualità della prestazione», che – assicura de Tilla – «può essere assicurata solo dall’aggiornamento continuo».

Il mondo delle toghe assicura di voler essere al passo con i tempi, e come altre categorie, ha già visto “nuove frontiere” (e si è scottato con Groupon). Dai tempi del decreto Bersani non ci sono più limiti ai sistemi di pubblicità per l’attività legale. Purché non sia ingannevole. E resta il limite della deontologia, naturalmente. Con la quale si è già più volte scontrata nel tempo la proposta di assistenza on line. «Un fenomeno che si sta diffondendo sempre di più, e che aumenterà ancora con le liberalizzazioni del governo Monti», spiega de Tilla. «Un’altra ragione per cui l’eliminazione delle tariffe è gravissima». La consulenza on line «è lecita» a condizione che «non ci siano forme di pubblicità ingannevole e che i professionisti ai quali ci si rivolge siano assolutamente identificabili».

«Permettono di contenere i costi, perché l’avvocato può gestire le pratiche quando vuole», spiega Silvia Surano, avvocato civilista di Firenze e blogger. Un fenomeno sempre più diffuso, anche se di dati ufficiali non c’è traccia. Ma basta digitare “avvocato on line” su Google: c’è tutto un mondo. Un avvocato di uno studio legale siciliano – che vuole rimanere anonimo – spiega il meccanismo: «Siamo on line e le nostre, naturalmente, non sono consulenze gratuite»: si manda una mail con il caso per il quale si richiede consulenza legale, e gli avvocati del sito elaborano il problema a partire dalla “complessità del parere richiesto”. «ll nostro non è un atto giuridico ma un parere, l’individuazione della fattispecie che ci è sottoposta sulla base della giurisprudenza», racconta. Ci sono pareri semplici, ai quali è possibile rispondere via mail, e pareri che richiedono una consultazione telefonica o di persona. «Sulla base di questa prima valutazione forniamo un preventivo non vincolante per il cliente», dice ancora l’avvocato siciliano. Che poi accetta se andare avanti, pagare e avere il parere legale, oppure lasciar cadere e magari rivolgersi altrove.

«Immaginiamo che un cliente scriva una email a un avvocato che si occupa di locazioni e condominio: “mi scade il contratto di locazione, la mia proprietaria di casa dice che devo imbiancare, sono contrattualmente obbligato o no?”», spiega Silvia Surano. Un quesito semplice: la documentazione necessaria si risolve nell’invio del pdf del contratto di locazione via mail. «In quel caso è possibile dare un parere on line previo preventivo», dice l’avvocato-blogger. In altri, no. «Ad esempio, io mi occupo di diritto civile, faccio prevalentemente giudiziale e non faccio consulenze on line perché è necessario avere con il cliente un approccio completamente diverso».

Insomma, il mondo delle consulenze legali on line esiste, è un fenomeno sempre più diffuso ma dipende dai “casi della vita” del cliente di turno: è adatto solo a consulenze meno complesse. Certo, per l’avvocato rappresenta “un’impostazione che ha dei costi limitati”, raccontano dallo studio legale siciliano. Che però non abbatte necessariamente le tariffe: restano «quelle che il legale applicherebbe di persona», spiega la Surano. «Ma la consulenza on line contiene i costi, perché per gestirla l’avvocato non occupa necessariamente tempo lavorativo, e non c’è la necessità di avere il cliente in ufficio».

Anche perché con il cliente è possibile parlare non solo via mail: si può parlare pure, ad esempio, via Skype. «Sì, c’è la possibilità di spaziare di più. Ma poi ci vuole anche la struttura», sottolinea la civilista. Resta poi vero che «il legale può regolare la propria tariffa a sua discrezionalità, mantenendo il prezzo più basso in base al tipo di lavoro che quel parere gli ha richiesto: se l’ha fatto dal divano di casa o meno, ad esempio». Dallo studio legale siciliano, invece, mettono le mani avanti: «No, la Rete non ci permette di abbassare le tariffe. È piuttosto un modo di fare pubblicità a costi limitati». Anche perché il tasso di “mortalità” delle richieste è elevato: «Nella maggior parte dei casi, dopo l’invio del preventivo non segue il pagamento». Fornita una prima bozza di risposta e il preventivo, finisce lì: «sono pochi coloro che poi fanno seguire un rapporto», spiega l’avvocato siciliano. «Perché, in genere, chi chiede una consulenza on line pensa che sia gratuita», sorride. «Abbiamo uno studio fisico e questa è un’attività di complemento. Se basassi il mio lavoro sull’on line, chiuderei bottega».

Lo studio legale ha avviato questa “attività complementare” su internet nel 2009. «Il nostro sito è stato approvato dal consiglio dell’ordine», e sulla pagina web i nomi e i cognomi degli avvocati a cui ci si sta rivolgendo sono chiaramente indicati, insieme al numero di telefono. «Non facciamo forme di pubblicità particolari, ma abbiamo un sito di consulenze legali e di domiciliazioni. Non promettiamo pareri e non ci sono forme di adescamento della clientela», spiegano. L’ordine, su questo, è chiaro: “L’avvocato può utilizzare esclusivamente i siti web con domini propri e direttamente riconducibili a sé, allo studio legale associato o alla società di avvocati alla quale partecipa, previa comunicazione tempestiva al Consiglio dell’Ordine di appartenenza della forma e del contenuto in cui è espresso”. L’ordine non rilascia alcuna autorizzazione, ma può, entro sessanta giorni, comunicare all’iscritto di adeguarsi se ad esempio il sito o il suo contenuto violano norme deontologiche. Se non c’è seguito, l’Ordine procederà a sanzionare.

Ma ci sono siti – anche alle primissime posizioni nei motori di ricerca – dove non è pubblicato il nome del legale a cui ci si rivolge. Oppure, se c’è, è ben nascosto tra le pagine. Né vi è traccia di numeri di telefono: è solo possibile richiedere una “consulenza” via mail o compilando un form. “Costo massimo 30 euro”. I pareri vengono poi pubblicati sul sito, ma non sono firmati. Tra le risposte che è possibile trovare in rete non mancano questioni di beghe condominiali, di risarcimento danni, di truffa e sequestro dell’auto, di adozione e cognome. A tutte, risposte cortesi condite da articoli del codice penale o civile in base alla fattispecie presentata.

Siti che «sorgono e spariscono nel giro di poco tempo, o che possono venire dall’estero», lamenta il presidente dell’Oua Maurizio de Tilla. «Magari non ci sono neanche degli avvocati dietro». Un aspetto che, assicura, «merita approfondimento»: ma «ci vorrebbero indagini investigative molto forti». Qualche ordine sta aprendo procedimenti disciplinari, e una prima azione potrebbe essere quella di imporre ai siti legali l’evidenza del nome e cognome dei professionisti cui ci si rivolge. Ma «Internet è incontrollabile, Facebook pure», lamenta de Tilla. «Solo la disperazione di qualcuno può comportare l’utilizzo di questi mezzi». La “disperazione”, oppure il fatto che «è impensabile che l’avvocatura abbia consentito l’iscrizione di 230mila iscritti». Una svalutazione generalizzata, nella quale «la gente che non ha nessun titolo si arrangia».

Insomma, qualcosa non ha funzionato. «Non è questo il modo di incrementare la propria clientela», lamenta il presidente. Un sito internet può certamente costituire vetrina e veicolo di pubblicità «per uno studio con avvocati bravi, che evidenzia e pubblica la bibliografia degli articoli scritti dai propri soci o consulenti, ad esempio, o che dà ai propri utenti e clienti news e aggiornamenti sull’attualità correlata al proprio ambito di attività». Il vero avviamento professionale è un altro. «È dato dalla volontà del servizio: ci devi parlare, con il cliente». E non una sola volta: molti possono essere i confronti necessari per analizzare la problematica sottoposta e trovare la soluzione legale più idonea. «L’avvocato che si comporta così incrementa la clientela e comincia ad avere stima sociale». Un processo attivabile solo di persona, per il presidente dell’Oua. Le luci e le ombre della Rete sono insomma, per Maurizio de Tilla, «parte della dequalificazione dell’attività di avvocato». «I giovani che non sono riusciti a farsi uno studio ricorrono all’on line», ma il 90% delle richieste di un cliente è fatto di «fascicoli complessi» e «non può essere trattato in una bottega o in un sito internet».

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