Nel clima di incertezza che regna su Banca Mps, un punto fermo lo ha appena messo uno storico azionista. Francesco Gaetano Caltagirone si è dimesso ieri dalla carica di vicepresidente. Una decisione a sorpresa che suggella il progressivo disimpegno dalla banca senese: nelle ultime settimane il costruttore ed editore romano aveva ridotto il suo pacchetto azionario dal 4,7% a poco più dell’1 per cento.
L’addio di Caltagirone, socio e amministratore di Mps dal 2003, è riconducibile a diverse motivazioni. Quella ufficiale risiede in un’interpretazione restrittiva della norma sull’incompatibilità di incarichi in imprese finanziarie concorrenti, introdotta con la manovra di dicembre. Mps ha infatti un’alleanza con la compagnia assicurativa francese Axa, mentre Caltagirone è socio e vicepresidente delle Assicurazioni Generali. Oltre ad alcune centinaia di milioni di minusvalenze accumulate, e l’essere stato tenuto ai margini nelle ultime decisioni maturate a Siena, sulla scelta del costruttore romano ha influito anche l’incertezza strategica del Montepaschi. In questo contesto, per Caltagirone è risultato più attraente traslocare in Unicredit, dove può contare sull’asse con il vicepresidente Fabrizio Palenzona. Tanto più che sulla banca senese, si è andata allungando l’ombra di una semi-nazionalizzazione.
Un salvataggio di Stato (o di para-stato). Banca Mps, è la versione concorde di fonti finanziarie ed esponenti governativi sentiti da Linkiesta, è diventata un problema per l’intero sistema finanziario italiano. Da risolvere al più presto. Visto che l’azionista di maggioranza, la Fondazione Mps, non ha i soldi per farlo, toccherà al “sistema” metterci mano, cioè in primis allo Stato. Sul tavolo ci sono due piani di salvataggio, non necessariamente alternativi. Il primo prevede che la Cassa Depositi e Prestiti, che è partecipata al 70% dal Tesoro e per il resto dalle fondazioni bancarie, intervenga nell’ambito di un corposo aumento di capitale, superando così le iniziali perplessità sull’operazione. Per il momento, però, fonti vicine alla vicenda escludono espressamente qualunque acquisto diretto di azioni dalla Fondazione Mps: «Se ce lo chiedono, si salva la banca, non l’azionista».
La cifra dell’aumento, nell’ordine di 1-1,5 miliardi di euro, ammonta a circa la metà del cosiddetto buffer temporaneo di capitale (3,267 miliardi), il cuscinetto patrimoniale aggiuntivo chiesto dall’Eba per coprire il rischio relativo ai titoli governativi in portafoglio. Il piano B passa invece per Intesa Sanpaolo. La banca guidata da Enrico Cucchiani è stata allertata da tempo, e conosce bene lo stato di salute di Mps. Se sollecitata dalle autorità di vigilanza, non si tirerà indietro. Ma sarebbe un intervento controvoglia, ispirato solo a una “logica di sistema” per tutelare la stabilità bancaria italiana. Le due opzioni, Cdp e Intesa, potrebbero comunque combinarsi: alla prima la partecipazione diretta all’aumento di capitale, alla seconda un ruolo più di supporto, come l’acquisizione di qualche attività.
Il presidente di Mps Giuseppe Mussari ha fin qui sostenuto la tesi che la banca possa fare a meno dell’aumento. Il 20 gennaio ha presentato alla Banca d’Italia un piano composito: conversione di obbligazioni, dismissioni, modelli contabili avanzati per il calcolo dei rischi, accantonamento di utili. Tutto tranne mezzi freschi. Per non aggiungere tensioni, è possibile che il piano riceva il via libera, «ma non si deve confondere il buffer aggiuntivo che ètemporaneo con l’esigenza di più patrimonio che è invece destinata a rimanere», riferisce una fonte che segue da vicino la situazione. L’orientamento delle autorità bancarie nazionali dell’Unione europea è che «se gli spread sui titoli di stato continueranno a scendere, possiamo preoccuparci meno dell’esercizio dell’Eba ma non possiamo smettere di preoccuparci della patrimonializzazione delle banche».
La necessità di un rafforzamento patrimoniale di Banca Mps sussiste, perciò, anche a prescindere dalle richieste europee. Stando ai documenti ufficiali dell’Eba, alla fine di settembre 2011 Mps aveva titoli di stato europei, in gran parte Btp, per 29,3 miliardi. Un ammontare pari a quasi quattro volte il patrimonio netto tangibile, calcolato cioè senza considerare avviamenti, marchi e altri elementi immateriali. Il doppio di qualunque altra banca. Ma Mps ha anche un problema industriale: la qualità dei ricavi e la redditività. Una parte significativa degli interessi netti deriva da titoli di stato: si possono stimare circa 500 milioni su un totale di 2.572 milioni nei primi nove mesi 2011. Nello stesso periodo la banca ha realizzato un utile consolidato di 303 milioni. Se si toglie la componente “cedola Btp”, il ritorno sul capitale proprio è irrisorio. Analisti e investitori si aspettano che Viola proceda a una profonda riorganizzazione manageriale.
Sul mercato le azioni Mps viaggiano da tempo sulle montagne russe. Ieri il titolo ha guadagnato il 5% a 0,31 euro (qui il grafico Mps dell’ultimo mese). Dal minimo toccato il 9 gennaio a 0,19 euro, le azioni hanno guadagnato oltre il 60%, mentre è passato di mano quasi un quinto del capitale. Sulle quotazioni si è replicato quanto già visto in prossimità della partenza dell’aumento di capitale di Unicredit. Le banche d’affari sono state molto attive nel proporre contratti di collar hedging agli azionisti: acquisto di protezione contro i ribassi (opzioni put) finanziato attraverso la vendita (alla banca d’affari) di opzioni d’acquisto. Queste operazioni formalmente non contrastano con il divieto di vendita allo scoperto, ma nell’immediato hanno ugualmente un effetto ribassista. A questo punto chi doveva posizionarsi per l’aumento di capitale è già a buon punto.
Restano da decidere i tempi. L’opinione prevalente è che si aspetterà il consolidamento del ritorno di fiducia sui titoli governativi europei e in particolare la discesa dello spread fra Btp e Bund tedeschi. Gli occhi sono puntati al Consiglio europeo del 30 gennaio, ma indicazioni più precise potranno arrivare l’8 febbraio dalla riunione fra le autorità di vigilanza nazionali che partecipano all’Eba. In funzione dell’esito del Consiglio europeo e dell’andamento dei mercati, non è escluso che l’Eba acconsenta a una revisione sia degli ammontari sia del calendario delle ricapitalizzazioni. Se tutto fila liscio, le richieste potrebbero essere ridimensionate, dando così un po’ di sprint alle quotazioni borsistiche. A quel punto, Mps potrà preparare in condizioni di serenità l’aumento di capitale, richiesto o no dall’Eba fa poca differenza. E anche la Fondazione Mps potrebbe beneficiarne in vista della scadenza a metà marzo dell’accordo con le banche creditrici.
Twitter: @lorenzodilena
Nella foto in alto, «Piazza del Campo HDR» © ISIK5 (da Flikr)