«Il titolo del Giornale di oggi? Aspetti, non l’ho ancora visto». Fiamma Nirenstein, giornalista e deputata del Pdl, da sempre a difesa di Israele e in prima fila nella lotta all’antisemitismo, fruga nella pila di quotidiani. «Sa sono stata molto occupata oggi», spiega. Poi, d’improvviso, sbotta: «Ma che cosa mi chiede? Mi vuol far litigare con il mio giornale?». È furiosa. Lo ha letto.
La corrispondenza tra Schettino e Auschwitz, però, non l’ha inventata Linkiesta. «Ma la domanda rimane tendenziosa, da giornalismo sensazionalistico. Comunque, le dico questo: il titolo non mi piace, è una risposta giornalistica molto sbagliata a un pezzo dello Spiegel, anche quello sbagliato». Del resto, aggiunge, «il Giornale ha una maniera di titolare tutta sua, che tende a catturare il lettore con titoli shock. È un modo diretto, molto popolare per affrontare anche temi importanti». E soprattutto, sottolinea: «io ho un ottimo rapporto con il mio giornale. La convivenza va benissimo. Ci troviamo bene. Loro non mi hanno mai censurato. E io non censurerò certo loro». Tanto da respingere un dubbio: perché, se la notizia era di due giorni fa, hanno aspettato oggi, il 27 dicembre? «No, no. Non credo proprio che abbiano aspettato la Giornata della Memoria per questo titolo».
In ogni caso, e ne conviene anche Fiamma Nirenstein, questo è un sicuro caso di banalizzazione della Shoah. «Eh, certo». Ma, aggiunge, «i casi sono tanti: ad esempio quando si paragonano i soldati israeliani ai gerarchi nazisti, quando Israele è accusata di compiere sui palestinesi le stesse stragi che ha subito». Questi, dice, «hanno anche un contenuto diffamatorio». Il titolo del Giornale, al confronto, non lo è. «La banalizzazione non va bene. Ma non va bene nemmeno la sacralizzazione». Muoversi tra questi due estremi, però, è difficile, soprattutto in un’epoca in cui in molti sembrano dimenticare, perdere la memoria. «Lo so benissimo. Io stessa ho curato il rapporto sull’antisemitismo in Parlamento. C’è una grave mancanza di conoscenza del passato. In Italia meno che altrove, ma in Germania è preoccupante».
E allora, come si fa a restare in equilibrio e non dimenticare? «Ci vuole sincerità», spiega. Cioè, «stare attenti anche ai rischi. La banaliazzazione, la sacralizzazione, e come terzo, la politicizzazione». Va ricordato che «l’Olocausto è stato compiuto dai nazisti, coadiuvato dai fascisti. Quindi dalla destra. È ovvio che gli ebrei trovassero la loro patria nella sinistra». Però, «con Israele, la sinistra ha trovato un alibi per attaccare l’ebraicità: che era già un retaggio del totalitarismo sovietico. Stalin aveva progettato, prima di morire, di punire la “congiura dei medici”, deportando ebrei». E così «Israele,e gli ebrei, che già erano considerati capitalisti, non patriottici, ladri, evasori fiscali, diventano colonizzatori, violenti, tiranni». Insomma, né destra né sinistra. E questo è il primo passo.
Poi, «immergersi nell’immensità del problema». Che significa «non dare colpe a nessuno, ma fare una riflessione cosmica del bene e del male». Comprendere «la barbarie della cattiveria umana, guardarla negli occhi». Il male, dice, «non è banale. La ricostruzione è complessa. È difficile». Ma per farla, «ci si deve spogliare dagli universalismi». Il problema, però, «è che la si vive con allegria, come se non fosse più un problema».
L’antisemitismo è ancora vivo, è molto presente. A tutti i livelli. C’è l’Iran, che dichiara di voler distruggere lo stato di Israele. E poi «c’è l’antisemitismo nelle piccole cose». Come, ad esempio, «la vignetta di Vauro». E qui si scalda, Fiamma. «Guardi che è triste essere oggetto di antisemitismo. Io sono stata raffigurata in quel modo solo perché sono ebrea». E dal 2001 gira sotto scorta. Peppino Caldarola insomma, ha fatto bene ad attaccarlo. «Certo. E non capisco come sia possibile che il giudice gli abbia dato ragione». E poi, «nemmeno le mie amiche femministe sono intervenute». La cosa grave, ricorda, è che quella vignetta «è andata in giro per tutti i siti antisemiti possibili e immaginabili». La cosa la turba sempre. «È una delle più intense tra tutte quelle che mi hanno fatto. La conservo ancora». E poi, ride, oltre a essere oltraggiosa, «io, il naso adunco non ce l’ho mica. Il mio è un naso normale». Si rilassa. Ma non basta. «Quello con me ce l’ha proprio, chissà che gli ho fatto. Comunque, dovrebbe piantarla, chiedere scusa e non rifiutare i soldi di Peppino». Un modo elegante, insomma, per chiudere una vicenda che di elegante ha molto poco.