L’Italia che si separa, sempre più insicura e povera

L’Italia che si separa, sempre più insicura e povera

Separazioni e divorzi all’italiana sono in aumento da anni. Ma quali sono le condizioni di vita di chi vive la fine di un matrimonio? Peggiorano per tutti: mogli, mariti, figli. Un tema caldo, in Italia. Poco trattato ma assai sentito, se proprio qualche settimana fa “Sarò sempre tuo padre” con Beppe Fiorello, ha portato a casa il 29,28% di share e il record stagionale per una fiction.

Dalla fiction alla realtà, a scattare la fotografia del dramma della fine di un matrimonio è l’Istat: il 46% delle persone separate o divorziate dichiara un peggioramento delle condizioni economiche. Si tratta del 50,9% delle donne e del 40,1% degli uomini. E la vita peggiora di più per chi, al momento della rottura, ha figli: è il 52,9% a dichiararlo, a fronte del 37,1% di separati senza figli. Le donne che hanno vissuto una separazione, poi, hanno un tasso di rischio povertà più alto (24%) rispetto agli uomini (15,3 per cento).

A vivere la fine di un matrimonio è una fetta consistente della popolazione dello Stivale: il 6,1% nel 2009. Un esercito di 3 milioni e 115mila anime, tra separati legalmente, divorziati, coniugati dopo un divorzio. Un esercito – rileva l’Istat – con precise caratteristiche socio-demografiche: livello di istruzione mediamente più alto, e una più diffusa presenza nel Centro-Nord e nelle grandi aree metropolitane. «Il dato importante è quello del percorso, diverso per uomini e donne», sottolinea Linda Sabbadini, capo dipartimento per le statistiche sociali e ambientali dell’Istituto nazionale di statistica. Un percorso che vede al centro «nuove condizioni economiche diverse e criticità, soprattutto rispetto ai figli». Perché anche loro pagano: con il peggioramento delle condizioni economiche dei genitori vedono diminuire vacanze, palestra, corsi extra-scolastici, uscite con gli amici, cinema, teatro. Nel 5% dei casi sono persino a rischio le spese mediche. Con la separazione, poi, «il rendimento scolastico dei figli peggiora nel 20,7% dei casi», spiega la Sabbadini. Questo «a testimonianza della difficoltà con cui tale situazione viene vissuta». Nel 6% dei casi il peggioramento porta addirittura a una bocciatura o al rinvio di esami universitari.

La tendenza è chiara: dopo la rottura del matrimonio, gli uomini vivono da soli e le donne con i figli. «Si sapeva, e continua a essere così», dice la Sabbadini. Anche se la legge italiana parla di affidamento condiviso, l’Istat rileva che nel 58% dei casi i figli vengono affidati alla madre, nel 33% dei casi esclusivamente al padre e solo nel 9% dei casi sono affidati ai due genitori in modo condiviso, congiunto, alternato. Non solo: la maggioranza (52,8%) delle madri che vivono con i figli dichiara che quest’ultimi non hanno dormito a casa del padre nei due anni successivi la separazione. Il 20,1% non lo ha addirittura mai frequentato. Il 35,8% delle donne, a fronte del 7,3% degli uomini, si trova più spesso a svolgere il ruolo di genitore solo. Il 32% degli uomini si trova dopo la rottura in una famiglia ricostituita, mentre per le donne la percentuale si ferma al 23,3 per cento. Gli uomini mostrano anche una maggiore propensione a vivere da soli: lo fa il 43% contro solo il 25,4% delle donne. Nei matrimoni finiti da meno di 5 anni, le madri sole sono il 45,5%, mentre gli uomini in famiglie unipersonali sono praticamente la metà del totale (49,2 per cento). Il dato diventa ancora più significativo a 10 anni dalla separazione, quando le madri sole restano il 29,1%, le donne single aumentano al 32,2% (a fronte del 39% degli uomini), ma quelle in famiglia ricostituita sono solo il 26,2% a fronte del 41,4% degli uomini.

La rottura di un’unione vuol dire spesso avvocati, assegni di mantenimento, doppi affitti, bollette e spese per due case. In questo quadro «la quota di donne separate o divorziate a rischio povertà è più alta», spiega Linda Sabbadini. È il 24%, contro il 15,3% degli uomini. «Questo è dovuto al fatto che le donne o si ritrovano a vivere da sole o come madri sole, avendo anche una posizione più fragile nel mercato del lavoro», spiega ancora la direttrice. Un dato che «non riguarda solo l’Italia, ma anche l’estero», a conferma della «particolare criticità» di questo aspetto. Saltano le economie di scala, aumentano le spese. Dopo lo scioglimento dell’unione, il 41,3% delle persone cambia casa. Lo fanno in Italia soprattutto gli uomini (il 44,5%), meno le donne (38,7%), che conservano, nella maggior parte dei casi, il tetto della casa coniugale sopra la testa. Soprattutto se ci sono dei figli: solo il 37,2% cambia abitazione, contro il 50,9% degli uomini. Al sud si torna a vivere con la famiglia di origine, al nord si cerca una casa in affitto. C’è chi si ritrova in arretrato con le bollette, con il mutuo, con l’affitto: ad avere debiti è il 13,6% degli uomini che hanno sciolto un’unione e il 20% delle donne. Il 7,3% degli uomini e il 10,4% delle donne non riesce a permettersi un pasto adeguato almeno ogni due giorni.

Le separazioni con assegno corrisposto dal marito sono il 97.8 per cento. Quelle con assegno ai figli corrisposto dal padre il 93.2 per cento. L’immagine dei papà separati nuovi poveri fa discutere. Non ci sono dati nazionali, ma proiezioni locali. C’è la certezza che il 70% delle persone che si rivolge alla Caritas in Italia è straniera, che un 10-15% è composto da senza dimora e indigenti, e che il restante 25% rappresenta una variegata realtà che tocca anche il ceto medio. E separati e divorziati, certo. «Tra questi, però, ci sono soprattutto donne», spiega Walter Nanni, responsabile ufficio studi della Caritas. «Socialmente, una donna arriva ad accettare l’idea di chiedere aiuto, in caso di necessità», dice. «Un uomo molto meno». Come dire: ci sono, ma si fanno vedere meno. Anche perché, secondo il rapporto Caritas-Zancan 2011, sono 8,3 milioni i cittadini italiani che vivono in povertà, ovvero il 13,8% della popolazione. Ed emerge – come già nel 2010 – un aumento delle famiglie italiane che accedono ai centri d’ascolto della Caritas per i bisogni immediati. Non solo per crisi, ma anche per “disagio”. Non solo persone sole, ma troppo spesso componenti di nuclei familiari separati. Certo è che, avverte l’Istat, il 19% di chi ha vissuto la rottura di un matrimonio ha ricevuto aiuti in denaro o in natura nei due anni successivi alla separazione. Sono nella maggior parte dei casi – anche qui – donne, e succede soprattutto nel Mezzogiorno.

Al momento della separazione la maggior parte degli uomini (l’83,1%) ha un’occupazione. Le donne che lavorano, invece, sono il 61,4% (il 52,7% a tempo pieno, l’8,7% part-time). Nei due anni dopo la fine del matrimonio, il 76,3% non cambia la propria posizione nel mondo del lavoro. Il 9,4% di chi cambia, invece, la propria situazione occupazionale, passa da inattivo a occupato: tra questi, il 78,2% è donna. E gli assegni di mantenimento? «Un problema critico», dice Linda Sabbadini. «Quasi un terzo delle donne dichiara che avrebbe dovuto riceverlo e che così non è stato». È il 30 per cento. Tanto che il 46,1% delle donne che si è trovata di fronte a un rifiuto della somma pattuita – in tribunale o per accordo informale – da parte dell’ex coniuge (o a somme inferiori) ha intrapreso un’azione legale. Nell’altra metà dell’universo, il 24,4% degli uomini separati, divorziati o riconiugati ha versato nel 2008 regolarmente denaro per l’ex moglie o per i figli. In caso di figli minori la percentuale sale al 36%. Si versa per l’ex coniuge nell’8,5% dei casi, per i figli nel 15,9%. Per i figli minori la percentuale sale al 26,4%. e il valore medio del versamento effettuato dai padri per i figli, nel 2008, ammonta a poco più di 5mila euro, quello per la moglie a quasi 3mila 800.

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