L’unico futuro possibile dell’economia sarda? Export e qualità

L’unico futuro possibile dell’economia sarda? Export e qualità

CAGLIARI – La Sardegna affronta da anni una situazione economica instabile con picchi di crisi importanti, a cui negli ultimi anni si è aggiunta la crisi finanziaria internazionale che ha peggio rato drasticamente le condizioni dell’isola. L’industrializzazione forzata cominciata decenni fa ha generato oggi, a fronte delle spese eccessive dovute all’isolamento della Sardegna, una serie di chiusure, con conseguente aumento della disoccupazione. Dall’altra parte, il settore del turismo è stagnante (anche a causa del rincaro dei trasporti) mentre le piccole medio imprese del settore agro-alimentare cercano di rimanere a galla nella burrasca della crisi, combattendo contro la carenza di liquidità, la concorrenza e sempre più scarsi investimenti di supporto.

«Si tratta di una situazione che in Sardegna è iniziata prima dell’inizio della crisi internazionale», commenta Roberto Saba segretario generale di Confindustria Sardegna, «all’incirca nel 2007, quando si sono manifestati i primi dati di rottura con la situazione economica precedente, piuttosto stabile. Situazione che nel 2008 si è incrociata con l’inizio della crisi internazionale che ha fatto precipitare le cose». Proprio da qualche anno la situazione della piccola e media impresa è peggiorata notevolmente.

L’agroalimentare e la pastorizia sono i settori che più hanno risentito di questo crollo, di cui le riscossioni operate da Equitalia sono una conseguenza. Fortunato Ladu del Movimento Pastori Sardi, aiuta a tracciare un quadro della pmi agro-pastorale sarda. «In Sardegna esistono diversi tipi di azienda: ci sono quelle particolarmente modernizzate, che possiedono mezzi tecnici adeguati sia per l’allevamento sia per la coltivazione del terreno. E paradossalmente sono quelle che maggiormente risentono della crisi, avendo fatto dei grossi investimenti che non vengono ripagati dal basso prezzo di vendita dei prodotti agricoli. Esistono poi aziende poco capitalizzate che insistono su pascoli pubblici, con piccoli guadagni ma nel contempo investimento vicino allo zero. Queste aziende o micro-aziende hanno anche un ruolo di tutela del territorio, ma garantiscono un reddito molto basso. Di conseguenza, visti i pochi investimenti, queste aziende sarebbero disposte a lavorare sotto costo». Una ulteriore concorrenza per le aziende che investono e cercano di incrementare la produzione, a cui si aggiungono «le aziende di “hobbistici”, di coloro che hanno un doppio lavoro e che incassano una moltitudine di premi, a scapito di chi vive solo di agricoltura e allevamento. Questo tipo di aziende è ciò che ultimamente ci sta danneggiando di più».

La minaccia di perdere i propri investimenti è sempre dietro l’angolo, per via della contrazione dei prezzi, della massiccia concorrenza e del calo dei consumi. «Le prospettive sono peggiori per il 2012 rispetto a ciò che si è affrontato in questi tre anni. Imprese senza liquidità, con un sistema bancario in difficoltà e pubblica amministrazione che ha allentato pagamenti e investimenti pubblici. Si tratta di un circolo vizioso che si sta avvitando senza fine, se ci sarà una fine» è il commento pessimista di Roberto Saba di Confindustria , che trova conferma nei numeri sempre più alti del tasso di disoccupazione.

«Le imprese ancora in vita stanno operando forti scremature e ristrutturazioni, che partono dal personale ma che determinano anche un riposizionamento delle aziende. Chi ha una maggiore apertura ai mercati esteri probabilmente ha subito un maggiore effetto della crisi, ma ora mostra segni di ripresa più rapidi. Soprattutto chi si rivolge ai mercati asiatici e ai BRIC, Brasile, Russia, India e Cina, dove l’economia ha ripreso a tirare. Quelle che soffrono di più sono le micro-aziende che si rivolgono ai mercati locali e che in realtà costituiscono la base produttiva regionale». Proprio quelle micro-imprese di cui persone come Fortunato Ladu del Movimento pastori sardi sono titolari, imprese intrappolate in una spirale che non gli permette di rivolgersi ai mercati locali in modo soddisfacente, ma neanche di guardare ai mercati internazionali.

Il Movimento dei pastori sardi propone delle soluzioni per uscire dalla spirale del ribasso dei prezzi. «Le nostre idee riguardano la destagionalizzazione dei parti nelle zone irrigue, il risanamento debitorio, passando per le energie rinnovabili, le aggregazioni, macelli mobili e centri di raccolta latte. E non ultima la diversificazione più accentuata della produzione del formaggio, ormai schiavo del Pecorino Romano. La destagionalizazione prevede parti degli animali in periodi diversi da quelli tradizionali, per avere agnelli e latte in mesi estivi e per poter dare più spazio ai formaggi molli. In questo modo, inoltre, si darebbe un grande impulso all’irrigazione dei campi, evitando il ricorso al risanamento pubblico dei consorzi di bonifica preposti alla gestione dell’irrigazione».

A monte di tutto ciò ci deve però esserci una volontà politica di sostenere lo sviluppo della micro impresa, volontà che attualmente, sembra mancare. Secondo Roberto Saba il discorso è particolarmente complesso: «Il mondo si sta trasformando» esordisce il segretario di Confindustria Sardegna, «e non ci sarà più posto per imprese fatte crescere con sistemi di aiuti come quelli fin’ora utilizzati, poco interessati alla competitività e maggiormente interessati invece al numero delle imprese che venivano fatte nascere. Siamo in un cortocircuito perché son saltati i fondamentali che reggevano il sistema così com’era in passato: veniamo da un lungo periodo in cui sia i mercati finanziari che la domanda ci hanno abituato alla stabilità. Questa è stata la vera prima grande crisi che ora sta smontando le fondamenta del sistema a cui ci siamo abituati. Di conseguenza adesso è difficile capire cosa fare e come farlo. Ora gli investimenti sono fermi e sappiamo per certo che quando gli investimenti si arrestano, si ferma anche una parte fondamentale della domanda, che permetterebbe di fare iniezione di risorse nella nostra economia. Risorse che servirebbero alle imprese per sostenersi».

Un’atrofia economica a cui si aggiunge la specificità della Sardegna, nella fattispecie i costi aggiunti causati dall’insularità della regione. Un ostacolo alla produzione che necessiterebbe invece di un massiccio incremento per competere con la concorrenza. Commenta infatti Fortunato Ladu del Mps: «Trasporti e costo dell’energia sono un ostacolo, e in generale i costi di produzione non ci permettono di essere concorrenziali in un mercato che ci obbliga a confrontarci sulla quantità e non sulla qualità». Di parere differente Saba di Confindustria, che sotiene: «in Sardegna ci sono difficoltà oggettive che derivano dai costi che le aziende localizzate in un’isola hanno in aggiunta. Ma si tratta di costi che gravano principalmente sulle imprese che lavorano su mercati nazionali, con poca apertura all’export. Il settore degli agroalimentari invece comprende delle imprese che si rivolgono al mercato locale, con esportazioni di nicchia e non abbastanza remunerative in un’economia internazionale, dove è difficile che un prodotto alimentare sia preferito per le sue caratteristiche rispetto al prezzo, che invece i consumatori esteri considerano maggiormente».

Si prospetta dunque un quadro stretto tra una crisi che comprime i consumi e la carenza di liquidità, di investimenti e di supporto. In uno scenario nazionale dove la priorità è data per ora alla “messa in sicurezza” delle casse dello Stato, non si profilano margini di grande miglioramento.  

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