«Povera storia. Sempre tirata per i capelli». Ride Paolo Macry, docente di Storia Contemporanea alla Università Federico II di Napoli. La proposta della leghista Paola Goisis di includere dialetto e soprattutto storia locale nelle materie scolastiche, lo fa sorridere. Il progetto della Lega, però, è serio. Almeno nelle intenzioni: perché mai i giovani devono conoscere i sette re di Roma, ma non i dogi di Venezia?, come si domanda Paola Goisis. Eppure, «Se uno la storia la studia bene, conosce sia i sette re che i dogi» risponde Macry. Ma il problema è, com’è ovvio, un altro.
«La Lega vuole riscrivere elementi della storia. Non è la prima volta che lo fa». In ogni caso, «è da 150 anni che qui si studia qualcosa che c’è». Mentre Bossi, «piaccia o non piaccia, vuole far studiare qualcosa che non c’è». Che si stia parlando della Padania, è ovvio. «Non è un problema di storiografia del nord Italia». Né un problema di trascuratezza: «almeno dal ’900 in poi il nord Italia ha una rilevanza manualistica importante. Lì nascono più o meno tutte le idee e dell’ultimo secolo». Insomma, non è una rivendicazione storico-territoriale che ridà lustro a una storia dimenticata in modo ingiusto. Solo un’operazione politica che entra a piede basso nella storiografia. Da qui, la storia «tirata per i capelli».
«Si può fare storiografia su tantissime cose, dalla storia diplomatica del Paese fino a quella di un pezzo di territorio», ma il problema è proprio nell’identità che si vuol dare a questo territorio, anche solo nel riconoscerlo nel suo insieme, nel suo delimitarlo. Alla storia da riscrivere della Lega, invece, serve stabilire dei legami «con il presente», con una volontà politica. Insomma, «la storia dell’Italia è la storia di un paese, che si è formato in un particolare contesto e sulla base di un progetto che, in certa misura, è sfuggito di mano agli stessi fondatori». Il riferimento è alle diverse opinioni sulla fisionomia che, nella metà del ’800 si voleva dare al nuovo paese. «Cavour, ad esempio, avrebbe preferito una forma federalista», aggiunge.
Ma il progetto della Lega è quello. Una divisione federalista che valga anche nell’istruzione. Per esempio, i meridionali studierebbero la storia della dinastia borbonica. «No. Al sud non si fa, non si studia nelle scuole, perché, appunto, al di fuori del contesto storico risorgimentale, non avrebbe senso». Il programma di studi è sempre influenzato dall’area in cui viene deciso. È ovvio che, in Italia, ci si concentri sull’Italia. «Mentre i borboni non ci sono, non esistono più».
Piuttosto, l’atteggiamento è troppo italo-centrico, considera Macry. «Spesso ci si concentra a studiare periodi in cui sono altri i Paesi più importanti». Insomma, si adotterebbe una prospettiva troppo angusta. Figurarsi a scendere nei dettagli regionali. «Ci sono paesi in cui succede, ma hanno tutto un senso diverso. Come la Gran Bretagna». Lì «zone come Galles o Scozia approfondiscono le loro storie regionali», ma per l’appunto, sono entità politiche riconosciute, realtà storiche vere.
In Italia, invece, «mi sorprende che si cerchi, nel XXI secolo, una legittimazione, un’identità culturale, inventandosi una storiografia». Piuttosto, «andrebbe cercata nell’oggi». Non, come conclude, «in miti secolari. Perché si sa, le cose sono sempre complicate. Senza contesto è ancora peggio. E nella notte della storia, tutti i gatti sono bigi».