Polizze care, scandalo Fondiaria: ma l’Isvap arriva tardi

Polizze care, scandalo Fondiaria: ma l’Isvap arriva tardi

Lo scandalo della Fondiaria Sai interroga le responsabilità di chi l’ha gestita negli ultimi dieci anni, e poi anche delle banche che l’hanno finanziata. Ma nemmeno l’organo pubblico di vigilanza ci fa una bella figura. L’azione di controllo dell’Isvap non si è distinta per efficacia né tantomeno per tempestività. Quando l’Istituto di vigilanza sulle assicurazioni è intervenuto, nell’autunno del 2010, ormai il grosso del danno era fatto: all’istituto presieduto Giancarlo Giannini, non è rimasto altro che prenderne atto.

Gli intrecci di incarichi degli ammministratori della Fondiaria Sai erano alla luce del sole. I giornali ne hanno scritto periodicamente. Ma chi doveva controllare ha fatto la voce grossa solo sul finire del 2011 e ha imposto la separazione dei ruoli, quando ormai la nave si era infranta sullo scoglio dei conflitti di interesse. Da tempo, inoltre, la gestione del settore danni mandava segnali che avrebbero meritato più attenzione. Nel triennio 2009-2011 la compagnia ha accumulato perdite per 2,3 miliardi di euro. Di queste circa 900 milioni sono state rese noto solo dopo l’aumento di capitale di giugno scorso. Una parte consistente deriva dalla necessità di «rivalutare il carico residuo dei sinistri a riserva» per 660 milioni: significa che i risarcimenti dei sinistri, verificati negli anni precedenti, erano stati sottostimati. 

Il fenomeno dell’incremento del costo dei sinistri è in corso atto da tempo: innescato dalla progressiva adozione su tutto il territorio nazionale di tabelle di risarcimento dei danni fisici originariamente adottate dal Tribunale di Milano, più favorevoli agli assicurati. Era conosciuto da tutti gli operatori, Fondiaria inclusa. Era noto ovviamente anche all’Isvap. Toccherebbe al regolatore stare con il fiato sul collo dei vigilati per stimolarli a una sana e prudente gestione. Ma a quanto pare da Roma per anni sono arrivati solo buoni consigli, la moral suasion, a dispetto degli ampi poteri regolatori, ispettivi e sanzionatori dell’Isvap.

Già nel bilancio 2010 di Fondiaria, del resto, erano emerse sottovalutazioni degli impegni sulle polizze Rc auto per 615 milioni. Sembrava che la maggior parte degli accantonamenti fosse stata fatta. «Eventuali integrazioni delle riserve tecniche che dovessero manifestarsi negli esercizi futuri potrebbero avere dunque conseguenze negative sulla redditività (il corsivo è nostro, ndr)», è tutto quello che viene detto nel prospetto dell’aumento di capitale, approvato dalla Consob il 23 giugno 2011. Il peggio doveva ancora arrivare, però. Ma per saperlo gli investitori hanno dovuto attendere l’antivigilia di Natale. 

Non è fuori luogo chiedersi come funzioni la collaborazione fra autorità di controllo. In casa Ligresti l’Isvap non ha bussato per molto tempo, ma a giugno scorso, quando è partito l’aumento, gli ispettori Isvap erano da qualche mese nei corridoi di Fon-Sai. Per l’esattezza dal 4 ottobre 2010. Dopo anni di operazioni fra le società private dei Ligresti e quelle quotate, si sono decisi a mettere il naso su tutte le questioni inerenti gli organi sociali, i sistemi di governance e di controllo dei rischi, l’organizzazione, i rapporti infragruppo. Dal 17 gennaio 2011 gli accertamenti sono stati estesi «alle principali fasi del ciclo sinistri del ramo R.c. Auto». Cinque mesi pieni non sono però bastati a far emergere la verità sui conti, in tempo per l’aumento di capitale che Fondiaria. Qui occorre fare un passo indietro.

Lo stile di gestione dei risarcimenti dei sinistri da parte della Fondiaria Sai rappresenta un caso singolare di default della vigilanza. «Per troppo tempo – riferisce una fonte vicina alle vicende – l’Isvap ha ignorato o avallato o quanto meno tollerato una prassi sbrigativa». Di che cosa si tratta? Fon-Sai archiviava le pratiche di risarcimento versando un acconto di ammontare inferiore alle pretese del soggetto danneggiato. A quel punto, il caso era considerato chiuso, anche se poi veniva riaperto come contenzioso legale: un azzardo o quanto meno una rischiosa politica di differimento dei costi. Questa mossa consente infatti di  “smontare le riserve”, come si dice in gergo, cioè di ridurre gli impegni (le “riserve tecniche” rappresentano un debito, e figurano nel passivo dello stato patrimoniale). Specularmente, nel conto economico, gli accantonamenti per rischi legali sono stati limitati e, naturalmente, il dato finale risultava gonfiato da assunzioni ottimistiche.

È vero che per anni c’è stata molta confusione sui risarcimenti, e ogni tribunale italiano ha valutato i danni biologici a modo suo. Proprio per questo l’istituto di Giannini avrebbe dovuto pretendere da tutti gli operatori l’approccio più prudente. Dal 7 giugno 2011, giorno della sentenza della Cassazione che ha messo fine «al lungo periodo del “fai da te” da parte dei tribunali», come rileva Il Sole 24 Ore, non ci sono scuse che tengano: vanno applicati i criteri del tribunale di Milano, più sfavorevoli alle compagnie. Attenzione alle date: mancano due settimane abbondanti all’approvazione del prospetto da parte della Consob. Ma da Isvap a Consob non arriva nessuna segnalazione dell’imminente bufera. Gli osservatori più raffinati parlano di conflitto fra esigenze di stabilità ed esigenze di trasparenza. Nel frattempo, c’è chi ha sottoscritto l’aumento Fon-Sai da 450 milioni a 1,5 euro per azione (oggi valgono meno della metà).

Le fonti più disparate – accademici, consulenti, alti funzionari dello Stato, operatori del settore – non lesinano complimenti alla struttura tecnica dell’Isvap: negli ultimi dieci anni è migliorata di molto, dicono, e ci sono funzionari preparati e rigorosi. Bene. «La politica di sotto-riservazione è stata il fil rouge della gestione Ligresti», aggiunge però chi ha avuto modo di vedere le carte dell’ispezione. Se dunque molto era conosciuto o sospettato, e i funzionari non avevano le bende sugli occhi, forse è l’ora che il presidente-direttore generale Giannini e tutto il consiglio dell’Isvap siano chiamati a dare pubblica rendicontazione su uno scandalo assicurativo di queste proporzioni.

Da sempre, e ancora nell’ultimo tornata di nomine del 2009, il vertice dell’Isvap è stato considerato un buen retiro per politici in disarmo. Nell’attuale consiglio siedono due ex parlamentari di Forza Italia nel 2001-2006: Luigi Fabbri, che in passato si è occupato di lavoro e welfare, e Mario Masini, imprenditore ramo assicurativo. C’è posto anche per un ex Margherita, Gabriele Frigato, esperto di questioni bancarie, e per Luigi Sappa, ex sindaco di Imperia, la città dell’allora ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola. Sarà anche vero che il consiglio dell’Isvap non è assimilabile per funzione agli organi collegiali di altre autorità amministrative. Ma vale lo stesso la pena chiedersi se non sia il caso di pretendere più qualità nelle nomine da parte del ministro che le propone (lo Sviluppo economico), di chi le formalizza (la presidenza del Consiglio) e di chi dà il via libera (la Corte di conti).

L’Italia è il paese con le polizze auto più care d’Europa. La crescita media dei prezzi è stata del 4,6% annuo nel decennio 2000-2010: il doppio della Spagna, cinque volte la Francia, sei volte la Germania. Essendoci poca concorrenza, per le imprese è più facile scaricare sui premi i maggiori oneri derivanti da inefficienze di gestione, anziché tenere sotto controllo i propri costi. L’incentivo a combattere le frodi è basso. L’Antitrust lo ripete da anni. Rileggersi quello che Antonio Catricalà ha detto al Senato poco prima di lasciare la presidenza dell’Autorità della concorrenza elimina ogni residuo dubbio al riguardo. Perché devono essere gli automobilisti, obbligati dalla legge ad assicurarsi, a pagare le inefficienze delle compagnie e l’inefficacia dei controllori? Quando comincerà valuterà l’imponente concentrazione industriale che si prospetta con l’aggregazione Unipol-Fondiaria Sai, che insieme avrebbero il 37% del settore R.c. auto, forse l’Isvap dovrebbe cominciare a porsi anche questa domanda.

Twitter: @lorenzodilena

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