Finalmente il Tesoro muove sulla Fondazione Mps

Finalmente il Tesoro muove sulla Fondazione Mps

La Fondazione Mps è finita, letteralmente, in un punto morto: uno standstill, per l’esattezza, come l’accordo con le banche creditrici, cui deve 1,1 miliardi di euro. Sommersa dai debiti e dalle perdite accumulate per inseguire obiettivi che non rientrano fra quelli previsti dalle legge sulle fondazioni, l’istituzione senese che controlla Banca Mps è riuscita però a rinviare la resa dei conti. 

L’accordo annunciato ieri prevede il congelamento della situazione debitoria: fino al 15 marzo i creditori non chiederanno l’integrazione delle garanzie sui debiti della fondazione. Né escuteranno i pegni su una parte del pacchetto azionario Mps che la fondazione ha dato in garanzia per i suoi debiti. Si tratta, nello specifico, di due posizioni: un debito originario di 600 milioni (sceso ora a 524 milioni), erogato a giugno da un gruppo di 11 banche, ed utilizzato per sottoscrivere ultimo aumento di capitale della banca senese; e contratti derivati total return swap stipulato con Mediobanca e Crédit Suisse, che hanno come sottostanti titoli obbligazionari Mps convertibili in azioni Banca Mps. All’appello, per la verità, manca ancora il Crédit Suisse, ma la fondazione spera di chiudere quanto prima l’accordo.  

Nel frattempo si vagheggia di un “salvataggio” della fondazioneo, meglio, del controllo che la fondazione esercita sulla banca. Una di queste ipotesi vede l’intervento della Cdp – la Cassa Depositi e Prestiti partecipata al 70% dal ministero dell’Economia e per la parte restante da un folto numero di fondazioni di origine bancaria. Altri immaginano un impegno diretto delle stesse fondazioni, in soccorso della consorella che rischia di perdere tutto. Il “cavaliere bianco” dovrebbe così rilevare un pacchetto (il 15%, si dice) sottoscrivendo l’aumento di capitale che la banca senese dovrà lanciare dopo che l’Autorità bancaria europa (Eba) ha chiesto un’integrazione patrimoniale di 3,26 miliardi.

Dentro la fondazione le discussioni continuano a girare attorno all’ossessione di non perdere il controllo di Banca Mps. Come se la progressiva concentrazione di risorse su un solo titolo (la banca locale, appunto) non avesse causato già danni enormi, annientando o quasi il “tesoro” della fondazione: 5,4 miliardi di patrimonio netto a fine 2010, oltre 4 miliardi di perdite, debiti per 1,1 miliardi. Questa strategia è stata voluta da tutte le istituzioni politiche di Siena (Comune e Provincia, storicamente in mano al centrosinistra) e attuata dal Gabriello Mancini, attuale presidente della fondazione, in coordinamento con il suo predecessore Giuseppe Mussari, dal 2006 presidente della banca. Il rapporto fra i due poggia su un patto politico fra i politici ex Ds e gli ex Margherita. I primi hanno avuto la guida della banca, affidata a Mussari, gli altri la fondazione, dove Mancini è stato imposto da Alberto Monaci, «il democristiano più in vista di Siena» secondo un vecchio articolo del Corriere, oggi presidente del consiglio regionale della Toscana.

È curioso, comunque, che si chieda il “salvataggio” a chi era (ed è) tenuto a vigilare sulle fondazioni. La Cdp, infatti, ricade sotto il ministero dell’Economia: ossia l’autorità di vigilanza pro-tempore sulle fondazioni prevista dalla legge (articolo 10 del Decreto legislativo 153/1999). Sempre la stessa legge prevede che «le fondazioni diversificano il rischio di investimento del patrimonio e lo impiegano in modo da ottenerne un’adeguata redditività» (art. 7). A controllare c’è (ci dovrebbe essere) il ministero dell’Economia, i cui poteri arrivano fino al commissariamento dell’ente «quando risultino gravi e ripetute irregolarità nella gestione, ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative e statutarie».

Avere puntato il 90% del patrimonio della fondazione (in realtà, anche di più, considerando i contratti derivati in essere con Mediobanca e Crédit Suisse) in un unico titolo, e per di più nella banca da cui avrebbe dovuto dismettere il controllo, era forse una scelta che l’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, avrebbe dovuto fermare o quanto meno questionare. E invece, dal 2008 in avanti, fra il mondo senese e Tremonti è stato un idillio. «La vigilanza sulle fondazioni ha per scopo la verifica del rispetto della legge e degli statuti, la sana e prudente gestione delle fondazioni, la redditività dei patrimoni e l’effettiva tutela degli interessi contemplati negli statuti», precisa ancora la legge. 

Ma neanche i predecessori di Tremonti, governo Prodi o governo Berlusconi che fosse, si sono dati troppo pensiero di far rispettare la diversificazione del patrimonio. La Fondazione Mps ha continuato a esercitare il controllo di fatto su Banca Mps, e anche quello di diritto, visto che aveva quote di maggioranza assoluta del capitale votante. Dopo l’improvvida acquisizione di Banca Antonveneta (costata fra 9 e 10 miliardi di euro), l’ente ha liquidato i suoi investimenti altri e li ha impiegati per sottoscrivere l’aumento di capitale del 2008 e poi quello del 2010. 

La questione, nella città del Palio, è così risaputa che l’attuale sindaco Franco Ceccuzzi (una vita da dirigente del Pds-Ds e poi del Pd) non si è fatto problemi a parlarne apertamente in consiglio comunale lo scorso 29 novembre: «Dobbiamo stare attenti – ha detto – in ciò che si scrive, a rispettare la legge che è cosa diversa dalle consuetudini con le quali questa comunità si è approcciata al tema del 50 per cento ed al tema del controllo che, sappiamo, ha delle definizioni diverse da quelle che comunemente noi utilizziamo».

Con Tremonti, del resto, è stato fatto uno scambio politico, di cui a Siena era garante Mussari: la fondazione è stata autorizzata a investire sempre più risorse nella banca, e la banca ha comprato una quota sempre maggiore di titoli di stato italiani (circa 25 miliardi a giugno scorso), che sono poi una delle principali cause della richiesta di ricapitalizzazione avanzata dall’Eba. In questo intreccio di poteri e scambi di favori – fra cui va incluso anche l’ingresso della fondazioni nella Cdp (leggi: i controllati in società con il controllore) – la distinzione dei ruoli e la vigilanza che la legge aveva affidato al ministero si è persa per strada. Ma, dopo il cambio di governo, è arrivato il momento di capire meglio cosa sia accaduto in questi anni a Siena.

I poteri di indagine sono oggi nelle mani del premier Mario Monti, nella sua qualità di ministro dell’Economia ad interim. Un patrimonio di miliardi è stato bruciato seguendo strategie che sono al di fuori degli obiettivi della legge sulle fondazioni. La legge consente al ministro di chiedere dati, notizie e documenti, e soprattutto di disporre indagini. Sempre che non sia sovversivo chiedere che le leggi dello Stato vengano rispettate e fatte rispettare da chi governa.

(pubblicato il 20 dicembre 2011, ultimo aggiornanamento 4 febbraio 2012)

Twitter: @lorenzodilena

In alto, «Piazza del Campo HDR» © ISIK5 (da Flikr)

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