Tra poco più di un mese sarà passato un anno dalla dimissioni forzate di Cesare Geronzi dalla presidenza delle Generali. Ma quei giorni sono ormai lontani e pochi se ne ricordano. A Trieste non tira aria di festa. Festeggiare, poi, cosa? Il titolo è prossimo ai minimi storici del post-Lehman. Le previsioni più benevole degli analisti sul risultato operativo della compagnia si attestano sulla parte bassa della forbice (4-4,7 miliardi di euro) promessa dall’amministratore delegato Giovanni Perissinotto. Le prospettive non sono delle più incoraggianti, anche se gli analisti di S&P Equity Research osservano che «le solide posizioni nel mercato Vita non sono riflesse nella valutazione di mercato».
Per le assicurazioni il 2012 rischia di essere l’annus horribilis delle assicurazioni, così come lo è stato il 2011 per le banche. Fra dieci mesi scatterà Solvency II (“Solvibilità II”), la direttiva europea che introduce un nuovo e più stringente regime per il calcolo dei requisiti patrimonale delle imprese di assicurazione. Il quadro economico europeo, poi, non lascia grandi speranze, e oscilla tra stagnazione e recessione vera e propria. Il contesto sembra aver spinto Generali nell’angolo. O per lo meno, questa è l’opinione prevalente sul mercato. Per uscirne, servirà un aumento di capitale, si teme. Cinque miliardi di euro, è la stima che va per la maggiore.
La riduzione dello spread dei titoli governativi periferici e la speculare ripresa delle quotazioni dei Btp offre comunque un sollievo non da poco ai conti delle Generali, e questa mattina gli ultimi studi delle case d’investimento ne prendono atto, allentando l’allarme sulla patrimonializzazione della compagnia triestina. Venerdì 24, dal consiglio di amministrazione usciranno le prime indicazioni sull’esercizio 2011, con l’indicazione dei premi consolidati. Riusciranno ad allontare lo spettro di un imminente aumento di capitale, che affligge le quotazioni del Leone?
Gli ultimi cinque anni delle Generali a Piazza Affari
Ufficialmente, il tema non è mai stato posto nel consiglio di amministrazione. Ufficiosamente, a Trieste prevale l’idea che l’aumento non sia necessario. In un primo confronto con gli altri assicuratori europei, Generali sembra sfigurare: i dati al 30 settembre evidenziano un forte divario fra il coefficiente di solvibilità delle Generali (122%) e quello dei rivali Allianz (179%), Axa (190%) e Zurich (256%). Ma, viene fatto notare, questo sarebbe un confronto non attendibile perché nei singoli paesi si usano modalità di calcolo diverse. In particolare, le linee guida dell’Isvap, l’autorità italiana di vigilanza del settore, non consentono di tenere conto delle plusvalenze implicite nel patrimonio immobiliare. Gli analisti di Kepler, poi, sostengono che il recupero delle quotazioni dei Btp porterebbe l’indicatore del margine di solvibilità dal 112% di fine 2011 al 127% dei primi di febbraio. Stime probabilmente non molto lontane dal vero. Ma a Trieste sanno bene che l’aumento è solo questione di tempo. Nel 2014 il socio Petr Kellner potrà esercitare l’opzione di vendita sul 49% di Ppf, holding con cui il Leone opera in 14 paesi dell’Europa centro-orientale gestendo attivi per circa 15 miliardi. Per Generali vorrà dire sborsare 2,5 miliardi, con conseguente impatto sui coefficienti patrimoniali, anche se la compagnia potrà trovare un altro socio, oppure procedere a quotare la Ppf.
I grandi azionisti delle Generali ne hanno parlato informalmente: e tutti concordano sull’opportunità di rinviare, incluso l’amministratore delegato Perissinotto. Di rinviare quanto basta perché il titolo si riprenda in Borsa. Con i prezzi a 12 euro per azione, l’aumento di capitale del Leone sarebbe un autentico massacro per le casse di molti soci. Agli attuali prezzi di carico, solo Mediobanca è in pareggio. Per gli altri, invece, è profondo rosso. Qualcuno, come De Agostini, ha già svalutato sul bilancio 2010, portando il prezzo di carico da 25 euro a 14 euro. Effeti, joint venture tra la Fondazione Crt e Ferak, ha rilevato il suo 2,26% a 18 euro per azione, prezzo che sale a 29 euro per la quota detenuta direttamente dalla Ferak. Ma sono dolori per molti altri soci che si tratti del costruttore Francesco Gaetano Caltagirone (che fra il 2007 e il 2008 rilevò una parte rilevante del suo pacchetto pagando le azioni sopra 28 euro l’una, anche se successivamente ha mediato al ribasso portando il prezzo di carico verso 15 euro) o dell’industriale Leonardo Del Vecchio o anche degli imprenditori Gavio, Arvedi e Zannoni, che attraverso il loro veicolo Inv.Ag. hanno in carico i titoli a circa 25 euro circa. Insomma, per ora, l’aumento non conviene a nessuno. Aspettare la ripresa delle quotazioni è una speranza, ma anche una scommessa. Simile a quella fatta da Unicredit, che poi, messa alle strette dalle autorità di vigilanza, è stata costretta a rivolgersi al mercato nel momento peggiore.
Twitter: @lorenzodilena
In Borsa. Confronto fra Generali (verde), Allianz (rosso), Zurich (arancione)
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