Lavoratori italiani unitevi e compratevi l’azienda

Lavoratori italiani unitevi e compratevi l’azienda

(Professore ordinario presso il dipartimento di Economia dell’Università dell’Isubria)

La crisi economica ha evidenziato le contraddizioni di un sistema economico internazionale e sovranazionale che aveva eccessivamente riposto fiducia nell’operare di meccanismi regolativi automatici di mercato e dalla sostanziale abdicazione delle autorità di politica economica rispetto alle sfide dei cambiamenti in atto. Ma la cosa ancor più sorprendente è il ritardo dei “policy maker” (e della gran parte degli economisti) nel comprendere che la mancata reazione anti-ciclica della politica economica europea era maledettamente pericolosa. La crisi economica ha evidenziato l’inadeguatezza delle istituzioni economiche europee rispetto non solo ai problemi dell’occupazione e dello sviluppo ma, in genere, rispetto alla questione della “sostenibilità nel tempo” (“durabilité”) del modello economico europeo.

Negli ultimi anni le regioni e le istituzioni pubbliche locali hanno avuto, in Europa, una notevole restrizione delle risorse finanziarie dai governi centrali nel tentativo di raggiungere l’obiettivo della riduzione del deficit pubblico consolidato e sono state coinvolte in una negoziazione permanente (con i livelli nazionali ed europeo) per cercare di mantenere i livelli di servizi storicamente determinati. Ciò ha determinato una sorta di “conservatorismo” comportamentale delle autonomie locali e regionali e, soprattutto, una disattenzione alle sfide che la crisi economica stava ponendo sulla società e sull’economia a livello decentrato.

Le risposte a livello locale e regionale sono spesso avvenute (specie all’estero), in periodi di difficoltà, come capacità innovativa del sistema socio-economico locale e avvio di “buone pratiche”, spesso in assenza di deleghe e competenze politico-amministrative decentrate dal livello centrale di governo. I progetti di sviluppo dipendono più dall’avvio di iniziative e dal coinvolgimento di attori economico-sociali variegati (e non predefinibili) in una logica partecipativa e di auto-responsabilizzazione piuttosto che dall’esistenza di fondi pubblici e di risorse finanziarie per lo sviluppo.

Quale migliore occasione, dunque, dei tempi della grande crisi economica internazionale per sperimentare “dal basso” nuove risposte dalla società locale e, quindi, nuove azioni, nuovi progetti, nuova imprenditorialità, nuova capacità di comprendere i fabbisogni della società locale e di capacità di reinventare il raccordo bisogni-produzione in una logica di prossimità territoriale, che ovviamente non significa chiusura su se stessi?

Le risposte a livello sociale possono essere molto numerose e possono appartenere a tipologie molto diverse. Tutte rientrano, in ogni caso, nella dimensione dell’autorganizzazione del sistema socio-economico locale che individua nuove opportunità e mobilita nuovi valori: dalla “filiera corta” (rientro di fasi lavorative precedentemente esternalizzate in altri paesi e ri-centralizzazione sulle reti locali e/o recupero delle relazioni dirette produttore-consumatore) alla valorizzazione del “capitale di prossimità” (rafforzamento delle relazioni territoriali nel circuito finanziario e responsabilizzazione – nei riguardi dello sviluppo locale – degli intermediari finanziari). Tra le risposte a livello sociale ci sono anche alcuni casi estremi: i lavoratori che salvano l’impresa e le aziende “salvate” dai consumatori (soprattutto attraverso interventi finanziari aggiuntivi dei Gruppi di acquisto solidale).

Sembra per ora sufficiente riflettere sul caso degli interventi dei lavoratori per salvare l’impresa con l’obiettivo di salvaguardare la loro occupazione, spesso con veri processi di “workers buy out” ma anche con interventi di sostegno finanziario all’impresa con l’impiego del loro Tfr. Vi sono stati alcuni casi riportati dalla stampa (specie dalla stampa elettronica) e che vale la pena ricordare; a partire dai casi di Vetrerie Empolesi, di Manifatture Toscane di Montelupo, dell’Attrezzeria Paganelli di Cinisello Balsamo che sono forse quelli più conosciuti sino ad altri che elencherò brevemente: impresa di confezioni Aicoplast di Londa (Firenze), Nuova Bulleri Brevetti di Cascina; Polyù di Sedriano (Milano), Cvs Cristallerie, Italcom, Infissi Design di Carpineti (Reggio Emilia), Ceramica Magica (ora Greslab) di Scandiano, Art Lining, modelleria D&C di Vigodarzere, la tipografia senese Cooprint, Industria Plastica Toscana di Scarperia (Firenze).

Questi sono casi limite ma servono per evidenziare l’esistenza anche di una serie di situazioni intermedie – più facili da avviare e da gestire – che spesso non si ha la fantasia e il coraggio di individuare e tentare. Va ricordato, ad esempio, il ruolo del sistema cooperativo nel sostegno ad imprese con necessità di ristrutturazione; è importante sottolineare il ruolo dell’Arcpl Toscana (Associazione regionale delle cooperative di produzione e lavoro), che ha effettuato un intervento di sostegno su sette aziende e la Coopfond (Fondo delle cooperative), che dal 2008 ad oggi ha effettuato 19 interventi di sostegno delle imprese con il salvataggio di 400 posti di lavoro.

Si notano dunque diverse esperienze interessanti anche se,forse, meno numerose e vistose rispetto a quanto si potesse immaginare (e sperare) all’inizio della crisi da parte degli economisti e degli scienziati sociali meno ortodossi. Soprattutto, queste esperienze sono poco percepite sia dall’opinione pubblica sia dagli operatori pubblici.

Paradossalmente, nelle esperienze recenti, si nota una sostanziale assenza (pur con le dovute e lodevoli eccezioni) dello stato locale e regionale che potrebbe invece avere un ruolo propulsivo, soprattutto dal punto di vista dell’animazione e del coordinamento, passando quindi da un ruolo di spesa ad un ruolo di “pivot” della mobilitazione di attori molteplici e di progetti di sviluppo locale.  

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