L’Ue vieta di copiare il design italiano ma il Pd vota contro

L’Ue vieta di copiare il design italiano ma il Pd vota contro

Un paradosso, tutto italiano, difficile da raccontarsi in un Paese che fa del design una delle chiavi del suo successo dʼimmagine ed economico produttivo. Ma, soprattutto, una condotta che espone lo Stato italiano a una procedura dʼinfrazione comunitaria i cui costi ricadranno sulle spalle dei contribuenti. Stiamo parlando della lunga travagliata storia che vive e sta vivendo in Italia la direttiva direttiva europea 98/71, già introdotta in Italia nel 2001, con la quale si estende anche al disegno industriale la tutela prevista per il diritto dʼautore.

Un modo importante, verrebbe da dire, per tutelare la creatività e la capacità dʼinnovazione tipicamente italiane e con esse remunerare le medio e piccole imprese che investono in innovazione. Ebbene, il lieto fine continua ad essere rimandato, alimentando una guerra tra chi agisce in nome della legge (leggi lʼassociazione per il disegno industriali e le molte sigle coinvolte nel problema) e alcuni piccoli produttori italiani che producono copie di prodotti di design senza averne i diritti.

Protagonista del blitz che agita le componenti associative e professionali che ruotano intorno al design italiano è un emendamento presentato e fatto approvare del deputato Pd Nannicini, grazie al quale è stata allungata da cinque a quindici anni la moratoria sullʼapplicazione della protezione di diritto dʼautore delle opere di design. Una scelta, denuncia lʼintero comparto, manifestamente contraria alla direttiva e quindi illegittima, cosicché la sua adozione esporrebbe nuovamente lʼItalia a una sicura procedura dʼinfrazione, con costi enormi per lʼerario.

Il tema in questione è stato oggetto di una recente significativa sentenza della Corte di Giustizia Ue(27 gennaio 2011 nel procedimento C-168/09), che ha preso espressamente in esame la possibilità per lʼItalia di rinviare lʼapplicazione della protezione di diritto dʼautore sulle opere di design. Ipotesi rigettata dalla Corte che ha espressamente escluso la legittimità di una moratoria decennale (come quella originariamente prevista dal legislatore italiano). Una sentenza nella quale la Corte stabilì che la moratoria decennale «non appare giustificata dalla necessità di garantire gli interessi economici dei terzi in buona fede» dato che risulta che un periodo più breve sarebbe idoneo allo stesso modo a permettere la fine dell’attività «nei limiti dellʼuso anteriore e, a fortiori, a smaltire le scorte». Sopratutto, «una moratoria decennale della protezione del diritto dʼautore risulta andare al di là di quanto necessario, poiché, sottraendo dieci anni dal periodo di tutela di unʼopera – cioè, in linea di principio, 70 anni dopo la morte dellʼautore – lʼapplicazione della tutela del diritto dʼautore è rinviata per un periodo sostanziale di tempo».

La Corte concluse affermando che «Lʼart. 17 della direttiva 98/71 deve essere interpretato nel senso che osta alla normativa di uno Stato membro che escluda dalla protezione del diritto dʼautore, vuoi per un periodo sostanziale di dieci anni, vuoi totalmente, i disegni e modelli che, pur possedendo tutti i requisiti per godere di tale protezione, siano divenuti di pubblico dominio anteriormente alla data di entrata in vigore di tale normativa, nei confronti di qualsiasi terzo che abbia fabbricato o commercializzato nel territorio nazionale prodotti realizzati secondo detti disegni e modelli, e ciò a prescindere dalla data di compimento di tali atti».

Sembrava dunque chiusa la partita quando, ed è cronaca dei giorni scorsi, grazie al colpo di mano targato Nannicini, la Camera dei deputati ha approvato un emendamento che si propone di prorogare per altri 5 anni il diritto alla copia dei prodotti di chiara fama creati prima del 2001, contraddicendo in tal modo una direttiva comunitaria e calpestando i diritti degli autori. Ora, ed è il punto su cui lʼAssociazione per il disegno industriale ha chiamato a raccolta il mondo associativo e i politici di buona volontà, il Senato è chiamato ad esaminare nuovamente la norma e auspicabilmente, ad abrogare lʼemendamento Nannicini. Partita non facile, dal momento che il tema spauracchio agitato dai fautori dellʼulteriore smodata proroga è la tutela dei posti di lavoro delle piccole imprese che producono tali beni in aperta violazione tanto della direttiva quanto della sentenza della Corte di Giustizia.

Nel maggio 2011 Confindustria, Fondazione Altagamma, Assarredo, Assolucee Indicam si erano opposte a un ennesimo tentativo di vanificare la normativa europea con un emendamento introdotto allʼinterno del decreto sviluppo, riuscendo a fare abrogare la modifica allʼArt.239 improvvidamente proposta. Ora, di nuovo, lʼemendamento Nannicini proposto al Senato è in contrasto con la direttiva e, oltre al danno enorme per il design, espone lʼItalia a una nuova certa procedura dʼinfrazione, costosa per la collettività.

Cresce l’insoddisfazione di progettisti e creatori di prodotti, che continuano a essere danneggiati dal mancato rispetto delle norme europee sul diritto dʼautore. «Spesso temiamo le copie che arrivano da lontano – si lamentano i designer – invece i copiatori sono in Italia e continuano ad agire nel nostro Paese, nonostante le leggi italiane ed europee in vigore. Giocando su false e demagogiche argomentazioni i copiatori continuano a trovare ascolto e, ancora una volta, propongono di prorogare per altri 5 anni il diritto alla copia».

Una partita ancora aperta, sebbene sia iniziato lʼultimo tempo, che se dovesse chiudersi male per le imprese del design – avallando ancora una volta le condotte di chi produce imitando il design altrui – avrebbe un costo notevole. Infatti, non solo la credibilità del prodotto italiano verrebbe compromessa,ma il costo e la sanzione collegata alla procedura dʼinfrazione che verrebbe aperta contro lʼItalia ricadrebbe sulle spalle dei contribuenti.