Complotto? Errore? O semplici trattative levantine? Quella dei due militari italiani che (forse) hanno scambiato due pacifici pescatori per pirati e li hanno uccisi è una vicenda “ingarbugliata”. Delicatissima. O forse, molto semplice. La loro sorte si intreccia con i complessi scenari che hanno visto le industrie della difesa italiane divenire fornitrici (per centinaia di milioni di euro) delle Forze Armate di Nuova Delhi.
La vicenda di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due fanti di marina del reggimento San Marco imbarcati sulla petroliera italiana Enrica Lexie e accusati dalle autorità indiane di aver ucciso due pescatori scambiandoli per pirati, è stata definita «ingarbugliata» dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. In realtà, l’aggettivo è forse un po’ debole, e non solo perché, a diversi giorni dall’accaduto, le interpretazioni sulla vicenda spaziano ancora da un errore dei due militari a un “trappolone” teso dall’India per addossare agli italiani la colpa dell’uccisione dei cittadini indiani da parte di una nave da guerra indiana nel corso di un altro presunto attacco pirata.
La verità è ancora oggetto di congetture, ma sullo sfondo della partita Italia-India, oltre al destino dei due marò, si agita ben altro: gli interessi economici costituiti dalle forniture dell’industria militare italiana alle Forze Armate indiane, sia quelle già acquisite, sia quelle ancora da acquisire. Già, perché non è un mistero che le nostre aziende produttrici di materiale bellico siano divenute, in pochi anni, fornitrici di fiducia di Nuova Delhi. Hanno venduto molto, e molto intendono ancora vendere. Vediamo cosa e per quanto.
Dopo la nave oceanografica da 5 mila tonnellate Sagar Nidhi, consegnata nel 2008 all’Istituto Oceanografico indiano, Fincantieri ha fornito pochi mesi fa all’India la Shakti, seconda di due grandi navi rifornitrici di squadra da 27mila 500 tonnellate per la Marina (l’altra è la Deepak, e insieme valgono oltre 300 milioni di euro), Inoltre, ha ottenuto lo scorso novembre un contratto da circa 30 milioni per la progettazione di sette fregate da 6mila 200 tonnellate della nuova classe P17A, o Shivalik. Le navi saranno realizzate in due cantieri indiani, il Mazagon Dock di Mumbai e il Garden Reach di Kolkata, ma Fincantieri aspira ad accaparrarsi qualcosa di più della semplice pregettazione: intende infatti acquisire i contratti, ben più interessanti, per la loro realizzazione (ogni nave costerà circa 900 milioni di euro) fornendo, per esempio, assistenza e tecnologia nel settore delle costruzioni navali modulari, un know how che i cantieri locali non posseggono ancora, ma che offrono anche altre aziende cantieristiche la cui concorrenza andrà battuta sul campo.
Sempre Fincantieri ha ricevuto nel 2004 un prestigioso incarico: quello di progettare l’intero apparato motore della Vikrant, la prima vera portaerei indiana attualmente in costruzione proprio nei cantieri di Kochi, il porto dove ora è attraccata l’Enrica Lexie. La Selex Sistemi Integrati, società della galassia Finmeccanica, ha recentemente firmato un contratto multimilionario per la fornitura di un radar RAN40L e per i super-segreti dispositivi IFF (cioè, quelli che servono a capire se una nave o un aereo in avvicinamento sono amici o nemici) da installare sulla nuova portaerei. Della quale, è bene ricordarlo, si sa già che la Marina vuole un secondo esemplare, il che porterrebbe al più che probabile raddoppio delle forniture. Sempre Selex ha fornito in passato molta elettronica per altre fregate indiane, le classi Godavari e Brahmaputra.
Ma il vero contratto del secolo, quello che farebbe gola a qualsiasi industria degli armamenti, riguarda i 126 caccia che l’Aeronautica indiana intende acquisire in base al programma MMRCA (Medium Multi-Role Combat Aircraft), un boccone da almeno 12 miliardi dollari (più gli “optional”, non certo a buon mercato) che è stato oggetto di una feroce battaglia, prima tra una rosa di concorrenti della quale facevano parte anche le proposte di Stati Uniti e Svezia, e poi tra i due finalisti: il Rafale della francese Dassault (gruppo Eads) e il Typhoon del consorzio Eurofighter, che è già in servizio o in fase di acquisizione nelle forze aeree di Arabia Saudita, Austria, Italia, Germania, Inghilterra e Spagna. Per inciso, l’ala sinistra e alcune parti della fusoliera del super-caccia europeo sono realizzate in Italia da Alenia Aeronautica, senza contare altre componenti affidate a industrie italiane. Insomma, il nostro apparato industrial-militare è fortemente interessato alla mega-commessa MMRCA.
Sfortunatamente, il 31 gennaio scorso il ministero della Difesa indiano ha comunicato che la vittoria è andata al caccia francese, che però pare abbia vinto principalmente per il prezzo, più basso di 4-5 milioni di dollari al pezzo rispetto al Typhoon. Insomma, le solite voci di corridoio dicono che in realtà i piloti indiani preferiscano quest’ultimo e che siano stati costretti a digerire il Rafale solo per questioni economiche, anche se va detto che il caccia francese, a differenza del concorrente, è già disponibile nella versione “navalizzata” (ce l’ha la Francia) adatta alla nuova portaerei indiana, della quale l’aereo diverrebbe l’arma principale. Insomma, le ultime indiscrezioni dicono che Eurofighter non abbia ancora gettato la spugna e che si prepari a un ultimo, disperato tentativo di vincere la gara abbassando le pretese in denaro.
I due marò in stato di fermo in India
Tornando alla vicenda dei due marò e al perché la loro vicenda venga definita “ingarbugliata” e abbia costretto l’italia a mobilitare le sue migliori energie diplomatiche. L’atteggiamento a dir poco intransigente di Nuova Delhi nella vicenda (e forse anche il mistero che circonda il vero svolgimento dei fatti in mare) potrebbe essere nient’altro di più che una sottile ma formidabile arma di pressione per costringere l’Italia, quale membro del consorzio Eurofighter, a far leva sul consorzio stesso affinché renda più robusto quello sconto che permetterebbe all’India di mettere le mani sull’ambito Typhoon a un prezzo più ragionevole. Senza contare, ovviamente, che sul piatto della bilancia ci sono anche tutte le altre forniture per le quali l’industria degli armamenti italiana compete da sola, con trattative ancora in corso, e pure i programmi futuri di un India che sta dando un enorme impulso al rinnovamento delle sue Forze Armate.
E con i tempi duri che si profilano in casa nostra, anticipati a chiare lettere dal ministro della Difesa Di Paola che intende tagliare i programmi delle forze armate nazionali, le forniture ai Paesi esteri sono boccate d’ossigeno alle quali non si può rinunciare. Insomma, che la vicenda dei pirati-pescatori possa evolversi nella liberazione dei nostri due militari in cambio di una bella riduzione dei listini di aerei, navi e quant’altro non è poi un’ipotesi insensata. Anche perché farebbe tutti contenti: i marò tornerebbero a casa, la nostra diplomazia ci farebbe un figurone, l’industria della difesa nazionale metterebbe un po’ di prezioso fieno in cascina e, infine, l’India otterrebbe quanto le serve a prezzi più abbordabili.