Quel pasticciaccio brutto delle primarie a Piacenza

Quel pasticciaccio brutto delle primarie a Piacenza

Alla fine il refrain è uno solo: «ci vogliono le prove». Le voci, si sa, non bastano. Ma quando raccontano storie strane, come quella sulle primarie del centro-sinistra per le amministrative di Piacenza, roccaforte del Pd (e patria del segretario nazionale Pier Luigi Bersani), i veleni schizzano.

Tutto è cominciato, appunto, dalle voci: parlavano di un numero sempre più alto di stranieri che facevano via vai dal centro. Portati in taxi, scendevano e andavano a votare. Poi, dopo aver fotografato la scheda, ricevevano il compenso – magro – di cinque euro. «Non vale molto il voto per il Pd» sogghignano gli avversari politici. Perlopiù le voci parlavano di stranieri sudamericani, truppe cammellate di peruviani sotto la neve per truccare le votazioni. Secondo chissà quali calcoli, sarebbero stati almeno 200.

La cosa non si è fermata. Insinuazioni, sospetti. Si è parlato di attività criminali, di caporalato, di frode. Poi, le scritte: Idv uguale Mafia. E le voci non si sono più frenate. Tanto che Gianni D’Amo, candidato con la lista civica Città Comune e arrivato quarto, si è dichiarato non soddisfatto del suo risultato. Il vincitore, Paolo Dosi, (del Pd) sarebbe al di sopra di ogni sospetto, spiega. Il margine che ha sul secondo, Francesco Cacciatore, (anche lui Pd) supera di gran lunga i 200 voti sospetti. Ma la classifica sarebbe stata condizionata comunque: i cammelli peruviani avrebbero deciso la differenza tra lo stesso D’Amo e il terzo arrivato, Samuele Raggi, dell’Idv. Il partito che, nelle scritte, era “uguale Mafia”.

E allora le primarie del centro-sinistra, che a detta di tutti «erano andate bene», tanto che «l’affluenza è stata molto alta, circa 7.500 votanti», rischiano di finire nel fango. «Sarebbe una vergogna», spiega Luigi Rabuffi, anche lui candidato. «E un’offesa per tutti i cittadini che sono andati a votare, soprattutto per gli stranieri». All’inizio della campagna qualche tensione c’era stata, soprattutto dopo che il sindaco di Piacenza Roberto Reggi si era schierato con tutta la sua giunta a favore di Dosi, il suo uomo e assessore allo Sport e alla Cultura. Cosa che ha messo in imbarazzo Francesco Cacciatore, proveniente dai Ds e, soprattutto, vicesindaco. Poi, però la campagna ha funzionato senza grandi problemi, finché i duecento voti comprati hanno compromesso tutto. Ma chi è stato? Nessuno lo dice in modo esplicito, ma gli sguardi sono puntati contro l’Italia dei Valori. Tanto che loro rispondono.

«No. Noi non ci stiamo. È tutto falso», ha risposto il quartier generale dell’Italia dei Valori: Samuele Raggi, il candidato, Sabrina Freda, assessore regionale, e Luigi Gazzola, assessore Idv di Piacenza. «Se il Pd continua con queste accuse, noi non abbiamo nessuna intenzione di sedere accanto a loro», rispondono. È stato tutto «un giochetto che, a chi l’ha fatto, è scappato di mano», spiega Gazzola a Linkiesta. Ma chi l’ha fatto? «Sono voci. I filmati diffusi e spacciati come prove non lasciano vedere niente di chiaro», spiega. Non si vede, cioè, il passaggio di denaro. Tutto finisce a sfumare nel dubbio, secondo Gazzola. «Resta da vedere», aggiunge, «se sia stato fatto davvero». Quello che serve, dice, «sono le prove». Per il momento le accuse rimangono e la coalizione (forse) non si fa più.

Ma il punto è un altro. Secondo le regole, nelle primarie il vincitore prende tutto. Perché cercare di modificare i risultati degli altri classificati? «Forse si pensava che avrebbe partecipato meno gente» spiega Rabuffa. Oppure, «in linea teorica, chi lo ha fatto sperava comunque di aver un buon risultato», aggiunge Roberto Montanari, segretario provinciale di Rifondazione Comunista. E «avere più o meno voti potrebbe avere un potere contrattuale più forte, anche negli accordi pre-elettorali», spiega un altro del Comitato. «Ma no, sono i risultati delle amministrative che contano», risponde secco Gazzola. In generali, non si vuole ragionare sulla questione. Chi ha i sospetti se li tiene e aspetta di raccontarli alla Digos, che ha cominciato le indagini. D’Amo, contattato da Linkiesta, non vuole aggiungere nulla. Vittorio Silva, segretario provinciale del Pd, mantiene toni cauti. Smentisce dichiarazioni più nette apparse su altri giornali: «ho già chiesto la rettifica», dice. E rimane fermo su un punto: se mai qualcosa è successo, «servono le prove».

E le prove, intanto, non ci sono. I numeri delle elezioni sono usciti: ha votato uno straniero su dieci, cioè il 9, 46%. I risultati non mostrano picchi strani, soprattutto nel seggio di Sant’Ilario, quello incriminato. Tutto diventa sempre meno chiaro. Nella Lega ostentano indifferenza ma continuano a sorridere: «Le primarie sarebbero lo strumento della massima democrazia, dicono loro» E «guardate come si comportano», ma i 200 voti taroccati si diluiscono. Scompaiono i taxi, i passaggi di soldi, le prove. E, addirittura, anche i cammelli peruviani sembrano spariti nel nulla. Senza lasciare nessuna traccia, nemmeno nella neve che, nel frattempo, continua a cadere sulla città.

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