Sui diritti umani in Cina anche Obama si deve piegare

Sui diritti umani in Cina anche Obama si deve piegare

San Valentino 2012 alla Casa Bianca sarà ricordato per l’incontro tra Obama e il futuro leader cinese Xi Jinping. Apprezzamento dello yuan, squilibrio della bilancia commerciale, diritti umani, dumping, proprietà intellettuale, ma anche Iran e Siria. Tono pacato, i due leader hanno toccato tutti questi tema senza, ovviamente, risolverli. Ma l’incontro è stato importante perché gli Usa hanno avuto modo di vedere da vicino colui che guiderà la Cina nei prossimi dieci anni. Se per Obama le elezioni di fine anno rimangono un’incognita, per Xi si tratta di una formalità. È lui l’erede designato di Hu Jintao. Dall’Europa, all’Italia agli Usa, Xi viaggia ormai da tempo, per conoscere e farsi conoscere.

Chi avrebbe immaginato che le relazioni sino-americane si sarebbero evolute così velocemente? Nel 1972 – durante lo storico viaggio di Nixon in Cina – il paese veniva chiamato “Red China”. Il viaggio del presidente americano ebbe perfino una nota esotica, quasi stesse andando sul Pianeta rosso, Marte. Ora non è più così. A differenza della guerra fredda tra Urss e Usa, Stati Uniti e Cina sono inestricabilmente legati. Non foss’altro che la Cina è il più grande detentore del debito americano. E poi “Made in China” è quello che gli americani comprano. E i cinesi sono attratti dal mercato americano e dall’ “American Dream”.

Non deve illudere il fatto che Xi ami i film occidentali, che la figlia studi ad Harvard, che il padre di sua moglie sia un diplomatico e che, nel lontano 1985, guidando una delegazione di dirigenti dell’Hebei rimase fortemente affascinato dall’Iowa. Xi Jinping risponderà sempre e solo al Partito e alla Cina. La sua sarà un’azione continuativa rispetto a quanto fatto dal suo predecessore, di pragmatismo e riformismo moderato. È necessario giocare sul terreno dell’economia globale con le stesse regole, tuonano da Washington con riferimento all’eventuale apprezzamento dello yuan. Per gli Stati Uniti è la svalutazione della valuta cinese la causa dello squilibrio della bilancia commerciale che da tempo pende a favore dei cinesi. La delegazione cinese ha ascoltato educatamente ma tutti sanno che Pechino rivaluterà lo yuan solo quando e se lo riterrà necessario.

Cina e Usa dissentono fortemente sulla questione Siria. Pechino persegue la politica di non ingerenza nelle questioni interne degli altri paesi. Allo stesso modo, mentre Obama auspica una rottura degli scambi energetici e commerciali tra Pechino e Teheran, Pechino fa orecchie da mercante. Gli Stati Uniti guardano alla Cina con la massima allerta, soprattutto sul fronte militare: dopo un periodo di forte concentrazione sul Medio Oriente gli Usa stanno orientando la propria attenzione sull’area Asia Pacifico. «Il paese è pronto per un ulteriore sviluppo dei suoi armamenti – spiega Joseph Cheng, Professore di Scienze politiche della City University a Hong Kong – Usa e Cina dovranno scendere a patti e stabilire un legame di fiducia più forte in campo militare». Il professore fa riferimento a quanto accaduto nel 2010 nell’area Asia-Pacifico, quando i due paesi arrivarono quasi a sfidarsi durante le esercitazioni militari.

Che i due paesi siano sempre sul chi va là lo dimostra anche l’episodio che sta agitando la diplomazia a Washington. All’ambasciatrice Usa Suzan Cook, esperta di libertà religiose, è stato negato il visto di ingresso in Cina. Lo staff di Obama avrebbe vietato all’ufficio della Cook di parlare pubblicamente della questione per evitare imbarazzi in presenza di Xi. Il presidente Usa è stato criticato dalle associazioni di diritti umani. Non lo considerano abbastanza forte da opporsi alla Cina su questioni quali il Tibet o il recente arresto di numerosi dissidenti. Rispondendo sulla questione dei diritti umani, Xi a Washington si è limitato a ribadire che negli ultimi 30 anni «sono stati fatti molti passi avanti».

Certo, il futuro presidente cinese dovrà guardare soprattutto a casa sua. I cinesi iniziano a protestare in modo sempre più evidente: dall’inflazione, alla disoccupazione, alle condizioni di lavoro nelle fabbriche. Proteste che alla fine dello scorso anno sono state paragonate al vento nordafricano. Xi sa bene che gestire il malcontento sociale sarà la priorità del suo mandato.