Era facile intuire che la Corte Costituzionale avrebbe accettato la candidatura di Abdoulaye Wade in vista delle elezioni presidenziali del 26 febbraio. Wade era stato eletto la prima volta nel 2000 e nel 2001 aveva cambiato la legge costituzionale, che prevedeva l’eleggibilità per massimo due mandati di sette anni. Ma, secondo il presidente, i cambiamenti introdotti nel 2001 non sono retroattivi: il suo primo mandato, perciò, dovrebbe essere considerato quello iniziato nel 2007.
Wade, 86 anni, sembra ora avere la strada spianata verso una terza presidenza. Malgrado le crescenti proteste e la nascita di nuovi movimenti, come Y’en a marre ( significa “ne abbiamo abbastanza”, un movimento popolare senza rappresentanza politica), e M23 (movimento politico che raccoglie i principali partiti dell’opposizione, nato dopo le proteste dello scorso giugno, quando Wade aveva annunciato la sua ricandidatura), la maggior parte della popolazione sembra, a parole, convinta – o forse rassegnata – che sarà ancora lui a governare il paese. «È un uomo forte», dicono i tassisti e i venditori ambulanti delle strade sabbiose di Dakar.
Non la pensa così Issa Kouyate, uno dei membri della prima ora di Y en a marre, che dichiara sconsolato: «ha corrotto i giudici, ha corrotto metà della popolazione». Racconta che il vecchio presidente ha regalato 5 milioni di Cefa (quasi 8.000 euro) e un’automobile ai giudici che dovevano emettere la sentenza. Issa vive a Saint Louis, tranquilla città del nord, dove non si sono verificate proteste. È presidente di Maison de la Gare, un’associazione che si occupa di talibés, bambini mendicanti di strada, un fenomeno molto complesso e diffuso in Senegal. «Non posso restare qui, devo andare a Dakar, dobbiamo radunarci e manifestare il nostro dissenso, queste elezioni non sono regolari», dichiara convinto.
La vera sorpresa non è tanto nell’ammissibilità di Abdoulaye Wade, quanto nella decisione (presa ieri notte) di respingere il ricorso in appello riguardante la candidatura di Youssou N’ Dour. Cantante di fama internazionale, N’ Dour aveva deciso a inizio gennaio di scendere in politica per dedicarsi al suo paese. A Dakar, negli scorsi giorni, quasi nessuno sembrava credere alle sue possibilità di vittoria; ma non era neanche ipotizzabile che la Corte costituzionale respingesse definitivamente il ricorso.
La sentenza, motivata dal fatto che N’Dour non ha raggiungo le 10.000 firme regolari, come richiesto dalla legge, ha così richiamato l’attenzione dei media internazionali, che fino a questo momento si erano occupati di elezioni in Senegal, solo per parlare della discesa in politica del cantante. E con questa decisione cresce esponenzialmente il rischio di escalation di violenze, perché testimonia come Wade stia cercando di stringere ulteriormente i bulloni del suo già immenso potere. Rischio alto, perché sabato scorso, in seguito alle proteste scoppiate nella capitale, dopo la prima decisione della Corte Costituzionale, era morto un poliziotto in circostanze peraltro non chiarissime. Diversi testimoni hanno parlato di infiltrati nel corteo.
Si respira tensione nelle strade di Dakar. Doudou Khouma, senegalese immigrato in Italia negli anni ’80, che lavora al centro d’accoglienza della Casa della Carità ed è Presidente dell’Associazione “Progetto Senegol”, scuote la testa amareggiato. Da giorni esprimeva i suoi timori su quanto sarebbe potuto accadere ed è, poi, puntualmente accaduto. «Abbiamo solo la pace, speriamo di non perdere anche quella». È critico verso Wade. «Ha tutto il potere nelle sue mani. E l’opposizione è come qui in Italia, litigiosa, divisa».
Il Senegal è un paese dalla storia recente, ma può vantare con orgoglio di essere uno dei pochi stati africani a non avere mai avuto una dittatura. Probabilmente perché scarseggia di risorse naturali, il che ha evitato le tensioni politiche ed economiche che hanno, invece, minato altri paesi ricchi di materie prime. Ha una risorsa che non tutti i paesi africani possono vantare: un backbone, la dorsale in fibra ottica che collega America del Sud e Africa e che si allaccia proprio in Senegal. Internet è diffuso, in diverse città è facile trovare ottimi collegamenti wi-fi in bar o ristoranti. Fa un certo effetto vedere nelle scuole, durante le lezioni d’informatica, la maggior parte dei ragazzi e ragazze sulla propria pagina Facebook. È un dato indicativo. Alcuni commentatori si sono spinti a parlare di “primavera senegalese” e internet è stato il minimo comune denominatore della primavera araba.
Paese esotico, colorato, ospitale. Lontano da noi, eppure con molti punti di contatto con la recente storia politica italiana. Un presidente anziano sempre più distaccato dal suo popolo e che mette mano alla costituzione per non perdere il potere. Movimenti di protesta dove, però, si parla di infiltrati nei cortei. Liste non ammesse. Un’opposizione divisa e litigiosa. Difficile comprendere cosa accadrà in Senegal nel mese di febbraio. Perché se di governi tecnici difficilmente si parlerà, bisognerà comprendere se e quale ruolo i militari decideranno di avere in questa vicenda. E fin dove si è spinta l’ombra lunga del potere di Abdoulaye Wade.
Immagini di una strada di Dakar
Barche a Saint-Louis
Una scuola di Dakar
Dakar