“Anticorruzione? Non servono nuove norme, ma più velocità”

“Anticorruzione? Non servono nuove norme, ma più velocità”

Tutto è ancora da definire, e la scomparsa del ddl anti-corruzione dal calendario delle commissioni fa pensare che i tempi si allungheranno. Ma il quadro dell’emendamento al ddl anti-corruzione si sta componendo. In generale, segue le direttive provenienti dall’Europa, compresa la Convenzione di Strasburgo, stipulata il 27 gennaio del 1999, votata il 14 marzo al Senato e ora sotto esame alla Camera. Mettendo da parte le tattiche e le strategie della politica, come lo scambio con norme sulle intercettazioni volute dal PdL nei confronti del governo, le novità in generale, sono tante. La corruzione privata, il traffico di influenze e l’autoriciclaggio. Norme che l’Italia non ha ancora recepito. Pigrizia dei politici? Sembrerebbe di no. Secondo l’avvocato penalista Paolino Ardia le cose sono più complesse. «In generale, l’ordinamento penale italiano, soprattutto per quel che riguarda i reati contro la pubblica amministrazione, è esaustivo», sostiene. «La necessità di creare nuove fattispecie di reato, in realtà, non è così sentita. Anche perché potrebbero esserci complicazioni di non poco conto».

Ad esempio l’autoriciclaggio implicherebbe un intervento molto complesso, dal punto di vista tecnico. Sono molto curioso di vedere come sarebbe composto». In che senso? «Il riciclaggio, previsto dal 648 bis, prevede, in sé una cosiddetta “clausola di salvezza”», cioè «è previsto per chi “sostituisce denaro beni o altre utilità” provenienti da alcuni specifici delitti, però “fuori dai casi di concorso nel reato”», cioè se «uno ruba 100mila euro e poi li reinveste in un night, non commette un altro reato, perché la dottrina lo considera un post-factum», cioè un azione legata, in modo intrinseco, alle motivazioni del furto. E quindi non viene punito. «Chi invece re-investe il denaro ottenuto in modo illecito, commette riciclaggio, che è una cosiddetta norma-ostacolo», cioè per rendere più difficile l’impiego del bene rubato. «Ora, inserire una norma del genere provocherebbe delle difficoltà con i principi della dottrina». Si vedrà.

Per il resto, la Convenzione parla anche di traffico di influenze e di corruzione privata. «Sono tutte cose che, a mio avviso, è difficile che trovino una collocazione reale in un sistema come il nostro, dove non c’è una regolamentazione del sistema delle lobby». L’attività di pressione di gruppi di potere sulla pubblica amministrazione è forte e agisce per vie poco definite. «Si tratta di un settore attiguo: una normativa dovrebbe considerarlo, nel momento in cui decide di trattare il traffico di influenze, per avere un punto di vista più comprensivo». Nel caso del traffico di influenze, si può citare il caso di un soggetto privato che, invece che corrompere il funzionario, corrompe un suo assistente, o una persona collegata. «Si tratta di una fattispecie di reato comunque prevista, anche se in modi diversi». Per la corruzione privata, poi, una «prima breccia c’è già stata», introducendo, anche se in modo marginale, «il concetto di fedeltà patrimoniale».

Infine, sarebbe prevista anche la trasformazione del reato di concussione in corruzione ed estorsione, come chiede la Convenzione. «Anche qui, va precisato che la concussione figura già come forma speciale di estorsione. In generale, comunque la corruzione, dal momento che prevede un concorso di entrambi i soggetti – corrotto e corruttore – viene punita in modo più severo». La concussione, invece, stabilisce un abuso da parte del pubblico ufficiale: «Ad esempio la guardia di finanza che chiede una tangente per non controllare i conti di un imprenditore». In questo caso fa leva sul potere del suo ufficio per convincere il soggetto privato. «La trasformazione del reato di concussione in corruzione potrebbe significare la volontà di eliminare la differenza tra le due, spostando la prima più in direzone della seconda e, in sostanza, inasprire le pene», spiega.

In generale, le richieste della Convenzione «chiedono l’introduzione di fattispecie di reato che in Italia sono comunque regolate, in modi diversi». Nella sostanza, «a parte una nomativa che preveda il trattamento delle lobby, il sistema è già esaustivo». Il problema, semmai, si sposta «sull’atto pratico, sul sistema», con tutte le lentezze e le sue macchinosità «cioè la sua incapacità di reagire in modo pronto», perdendosi nelle farraginosità processuali e perdendo, di fatto, la sua efficacia. 

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