L’adunata dei Makers all’Acquario Romano è stata un successo. Per chi è costretto ad ascoltare ogni giorno telegiornali che parlano di spread e di disoccupazione giovanile, la carrellata di storie e di proposte messe insieme da Riccardo Luna è stata una vera e propria iniezione di entusiasmo. Non solo perché Chris Anderson, chief editor della versione americana di Wired, ha proposto i tratti di una rivoluzione industriale oggettivamente alla nostra portata, ma soprattutto perché i progetti avviati in questi da tanti giovani italiani sono apparsi convincenti e pieni di energia.
Le tesi di Anderson sono ormai note, ma meritano di essere riprese. Negli ultimi quindici anni – dice Anderson – Internet ha permesso di organizzare una nuova socialità e nuovi modi di condividere il sapere. Nei prossimi dieci anni siamo chiamati ad applicare tutto quello che abbiamo sviluppato nel mondo digitale al mondo reale. Si tratta, insomma, di passare dai bit agli atomi.
Le premesse per questa rivoluzione – sempre secondo Anderson – ci sono già tutte. Il web ha dato voce a una società che ha imparato a riconoscere il valore della varietà. Oggi il mercato è pronto a premiare una generazione di prodotti nuovi, diversi, su misura, che mai avrebbero passato il “test del XX secolo”.
Questi prodotti sono il risultato di nuove tecnologie e nuove logiche di divisione del lavoro che superano i limiti tipici della produzione di massa. Stampanti 3D a basso costo, laser cutter, macchine a controllo numerico di nuova generazione consentono di produrre pezzi unici o serie limitate per assecondare le richieste più strane. Per accedere a queste tecnologie, a breve, non è necessario mettere in campo capitali e finanziamenti: è sufficiente accedere a un fab lab per poter diventare un artigiano tecnologico di nuova generazione. Se poi il vostro prodotto ha successo e volete crescere di scala potete ricorrere ai tanti produttori cinesi che popolano i portali del commercio elettronico business to business, primo fra tutti il celebre alibaba.com.
Mette di buon umore scoprire che il paradigma dei maker di nuova generazione è un italiano in carne ed ossa: Massimo Banzi. Dopo essere stato più volte evocato dal direttore di Wired, Banzi è salito sul palco per raccontare la sua storia. Ha parlato di quando si divertiva da ragazzino a smontare tutto quello che aveva in casa, della sua carriera all’ITIS (“dove impari una cosa il lunedì e il mercoledì puoi già realizzarla”), della sua refrattarietà al curriculum di ingegnere (“ti laurei e poi ti costringono a mettere la cravatta tutti i giorni”). Durante il suo soggiorno a Ivrea Massimo Banzi ha creato la piattaforma di prototipazione open source su cui oggi un esercito di maker sta provando a creare prodotti completamente nuovi. Arduino è hardware, è software, ma è anche un metodo di lavoro e, soprattutto, una comunità di appassionati.
Molti dei tantissimi progetti presentati all’acquario devono molto della tecnologia e della filosofia di Arduino. Le stampanti 3D di Kent’s Strapper, i tessuti tecnologici prodotti da plugandwear.com in Toscana, i sistemi di connessione e integrazione fra tecnologie diverse sviluppati presso il CRS4 di Cagliari , la moda openwear proposta da Zoe Romano, la piattaforma di commercio sociale blomming.com sono tutte iniziative che condividono con il progetto di Banzi la passione per la conoscenza in versione open source e una gran voglia di accorciare al minimo la distanza che separa ideazione e fabbricazione (Make things, not slides – secondo il motto di Vectorealism).
Alla faccia dei tanti giovani NEET che secondo le statistiche circolerebbero nel nostro paese, le esperienze dei maker italiani raccontano di una passione imprenditoriale che è prima di tutto voglia di cambiare il mondo. I nostri maker, almeno quelli che si sono alternati sul palco dell’Acquario, non si sono lanciati nelle rispettive avventure per puntare su una rapida quotazione in borsa. Sono animati piuttosto dalla volontà di fare qualcosa di davvero innovativo e socialmente rilevante.
Rimane da chiarire il rapporto fra questi artigiani tecnologici di nuova generazione e gli artigiani che rappresentano ancora un pezzo fondamentale della competitività del nostro Made in Italy. Pensare che le nostre piccole imprese non abbiano già sposato il potenziale delle nuove tecnologie significa non conoscere il nostro tessuto industriale. Chi produce macchine utensili ha sviluppato da tempo nuove interfacce uomo-macchina, sensoristica di avanguardia e strumenti di manutenzione a distanza. La prototipazione rapida è pratica consolidata nelle nostre aziende di design. La tracciabilità delle nostre filiere alimentari poggia su tecnologie di rete all’avanguardia. Eppure poca di questa capacità innovativa viene raccontata a dovere. Ascoltiamo rapiti i successi della Local Motors, il produttore di automobili custom di cui si è appassionato lo stesso Anderson, ma non riusciamo ad entusiasmarci dei successi delle automobili da corsa Dallara o delle moto Vyrus.
Le ragioni di tanta difficoltà a riconoscere i meriti dei nostri campioni nostrani sono diverse. Abbiamo vissuto il complesso del nanismo delle nostre imprese, quello della mancata terziarizzazione della nostra economia, gli insuccessi dei nostri numerosissimi parchi tecnologici. E adesso Chris Anderson ci viene a dire che il futuro del capitalismo è fatto da un esercito di piccole imprese dietro al quale si muovono comunità di appassionati che rivendicano la libertà di non avere una laurea in ingegneria né un master in business administration. Troppo e troppo velocemente.
Ci servirà un po’ di tempo per digerire tutte questa novità e per rederci conto che non siamo messi poi così male, almeno sul fronte della manifattura. Ci servirà del tempo, soprattutto, per capire in che modo saldare le proposte di Anderson con le potenzialità di tante piccole imprese che già oggi devono essere considerate come parte di una rivoluzione industriale appena cominciata. Le start up sono importanti, questo è certo, ma qui si tratta di prendere sul serio la sfida di Anderson e di rilanciare la competitività di un pezzo importante del paese.
Sarebbe interessante che Andrea Mondello, grande sponsor della giornata di ieri, dedicasse proprio a questi temi i prossimi appuntamenti di World Wide Rome.
*Stefano Micelli è docente di Economia e gestione delle imprese all’Università Ca’ Foscari di Venezia e autore del libro “Futuro Artigiano” edito da Marsilio Editori.