Casoria, la terra di Noemi, dove c’è chi prova a fare cultura

Casoria, la terra di Noemi, dove c’è chi prova a fare cultura

CASORIA (NAPOLI) – Più che una minaccia è un monito. «Artistico, naturalmente», sorride Antonio Manfredi, direttore del Cam, il Contemporary Art Museum di Casoria. «Dal pomeriggio del 2 marzo, riconosciuta l’impossibilità di assicurare gli standard minimi di conservazione e di promozione delle opere della collezione permanente, per mancanza di sostegno sociale, politico ed economico, abbiamo oscurato tutte le opere esposte mostrando solo le riproduzioni in fotocopia». L’arte, insomma, nega se stessa come atto di provocazione contro l’indifferenza diffusa e generalizzata.

Duecento opere, gran parte del tesoro del Cam, restano coperte dando corpo a una spettacolare manifestazione di «Camouflage» (occultamento) per un’autentica rivolta culturale. Da questa cittadina alle porte di Napoli, assurta agli onori della cronaca per le vicende personali della signorina Noemi, parte una battaglia di civiltà e il Cam, presidio territoriale in terra di camorra, diventa luogo della provocazione. È un gesto estremo, che ne segue un altro ancora più doloroso. Manfredi, fondatore del Cam e artista egli stesso, ha dato alle fiamme sei delle nove opere con le quali aveva partecipato recentemente alla Biennale di Venezia facendo scalpore: raffiguravano i più pericolosi latitanti della malavita organizzata italiana. «La cancellazione di un’opera è la reazione all’impossibilità di sopravvivenza della cultura nelle attuali condizioni. Negare l’arte – osserva Manfredi – equivale a distruggerla. Il mio è stato un atto di guerriglia».

È strano il destino di questo museo nato nel 2005 su iniziativa dell’amministrazione comunale e che oggi nessuno vorrebbe. Semisconosciuto tra Napoli e provincia, è famosissimo all’estero. Arrivano visitatori da ogni dove per ammirare le opere che rappresentano in maniera variegata e complementare cinquant’anni di arte contemporanea mondiale. «Fino a quando il museo espletava una funzione squisitamente culturale – spiega il direttore del Cam – non abbiamo avuto alcuna difficoltà. Con le prime rassegne impegnate e cariche di significati forti contro politica e camorra, per esempio, sono cominciate minacce e intimidazioni. Il museo è un presidio nato dal nulla che non ha mai percepito un soldo pubblico e questo dà fastidio. Fortuna che ci sono i bambini delle scuole elementari che continuano a riempire i saloni del Cam e a fare domande. «La loro presenza scalda il cuore, mi dicono che qui dentro si sentono in un’altra dimensione e che rimangono impressionati dalla forza espressiva delle opere. Tutto ciò mi induce a combattere ancora, per un obiettivo che non sia funzionale a certa politica ma unicamente agli orizzonti di questi ragazzi».

Il Cam è in emergenza da quando è nato e solo da poco ha istituto un biglietto, più che atro simbolico, di tre euro. La distruzione o l’oscuramento delle opere come metafora delle sue disillusioni, maestro Manfredi? «Quelle le vivono quotidianamente dentro me stesso. Piuttosto considero questi gesti estremi come provocazioni violente perché l’Italia è un paese che ha bisogno di iniziative clamorose. Proprio l’anno scorso di questi tempi – continua Manfredi – partì la mia richiesta di asilo politico-culturale alla Germania; la notizia suscitò scalpore in tutto il mondo: sembrava impossibile che un bene comune come una collezione museale fosse abbandonata a se stessa. Dopo esattamente dodici mesi le condizioni della cultura sembrano peggiorate. Parlo della chiusura di spazi italiani e internazionali per l’arte, per il cinema e per il teatro, parlo dell’impossibilità di una sopravvivenza di tali luoghi durante una profonda crisi economica. Perché proprio la cultura deve subire sempre i primi tagli economici? Perché una ricchezza che ha valore morale inestimabile, che eleva lo spirito, lo migliora e lo sensibilizza, viene penalizzata in prima istanza? D’altronde se il sito archeologico di Pompei va in malora c’è poco da stare allegri».

Nonostante il contesto ambientale non sia per nulla favorevole, Manfredi non ha intenzione di mollare e continuerà a ignorare i consigli «amichevoli» a desistere. «In una società dove tutto è merchandising, benefit, marketing; dove banche, lobby economiche e finanziarie governano e monopolizzano i mercati; dove i governi sono latitanti, impotenti o collusi; dove la cultura e la ricerca scientifica sembrano essere divenuti zavorra per le economie in tempo di recessione “Camouflauge” è l’ultimo affronto a questo modello di società».

In tempi le recenti le sfide sono state le mostre dai titoli eloquenti di «Politik», contro il sistema della politica; «Afri-cam», dedicata agli artisti africani e, soprattutto, «Cam-orra» tesa a colpire la criminalità organizzata. Nel frattempo Manfredi ha alzato il livello della protesta: «Ho inviato al Presidente della Commissione Cultura del Parlamento Europeo, Doris Pack, al Ministro italiano per i Beni e le Attività Culturali, Lorenzo Ornaghi, al Presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, e al Sindaco della Città di Casoria, Vincenzo Carfora, le fotocopie delle mille opere in collezione permanente del museo Cam che sostituiranno le opere originali. Ecco, il futuro culturale dell’Italia rischia di diventare un inutile ammasso di carta straccia». Ma chi glielo fa fare? «Casoria è la mia terra. Qui ci sono nato e qui ho la mia famiglia. Combatto contro il degrado che la devasta. E se mi sparano, pazienza».

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