La trattativa si sarebbe arenata anche per questo. Confindustria, che sembra gradire le nuove norme proposte sui licenziamenti, non sembra invece disponibile ad accettare una maggiore contribuzione sul lavoro precario. Quindi, se da un lato i sindacati ribadiscono il loro sostanziale no alle proposte del governo-Monti, dall’altro lato sono anche gli imprenditori a non volere cedere su nulla.
Infatti, a quanto racconta chi segue da vicino la trattativa in corso, Confindustria non vorrebbe proprio accettare la maggiorazione di contribuzione dell’1,4% che le aziende si troverebbero a pagare per ciascun precario. Quindi, sì su tutta la linea alle nuove norme sui licenziamenti (mentre il sindacato vorrebbe mantenere per tutti l’obbligo di reintegro), no invece ad accettare un accordo che disincentivi anche economicamente il precariato. Problemi sarebbero sorti, dal lato confindustriale, anche sul maggior rigore, proposto da Elsa Fornero, in materia di finte partite iva, vale a dire di quei milioni di lavoratori (per lo più under 40) che risultano liberi professionisti ma in realtà lavorano per un solo committente, realizzando nei fatti un rapporto di lavoro subordinato.
In definitiva, insomma, siamo ancora una volta di fronte all’antico proverbio della botte piena e della moglie ubriaca. Confindustria esulta per un regolamento più elastico sui licenziamenti (ed è comprensibile che durante le crisi economiche si dia una maggiore flessibilità in uscita), ma poi non ammette che – simmetricamente – il precariato debba essere disincentivato e in qualche modo pagato dalle imprese. E forse sarebbe il caso che, dalle parti di Emma Marcegaglia, qualcuno le suggerisse di cedere, lasciando ai sindacati la palma di chi non cede su nulla e non conosce il compromesso.