Costa, cosa c’è dietro la “sfortuna” di Concordia e Allegra

Costa, cosa c’è dietro la “sfortuna” di Concordia e Allegra

Costa Crociere naviga di nuovo in acque agitate. Dopo il disastro della Costa Concordia sventrata dagli scogli dell’Isola del Giglio, la compagnia crocieristica ha dovuto affrontare una nuova emergenza sulla Costa Allegra, rimasta alla deriva nell’Oceano Indiano per colpa di un incendio che, pare, ha messo fuori uso la propulsione e compromesso la generazione di energia elettrica. La nave, con a bordo 1049 persone tra passeggeri ed equipaggio, si è dovuta far trainare dal peschereccio oceanico francese Trevignon con rotta verso Mahé, Seychelles dove è giunta questa mattina. Ovviamente web e carta stampata si sono sbizzarriti nel sottolineare la sfortuna che negli ultimi tempi sembra accanirsi contro la società di navigazione genovese del gruppo Carnival e su internet impazzano già impietosi fotomontaggi di un’inesistente Costa Scaramantica con un bel corno portafortuna al posto del classico fumaiolo giallo della compagnia. Un sfortuna che, oltretutto, appare irriguardosa e incurante dei nomi beneauguranti (ci mancherebbe altro…) scelti per le sue unità. Sulla Costa Allegra la mancanza di energia elettrica per l’aria condizionata e per i servizi di bordo (quella d’emergenza può alimentare solo l’illuminazione, ma non l’energivoro impianto di climatizzazione), ha trasformato la nave, proprio mentre procedeva in acque tropicali, in una specie di forno galleggiante privo di servizi igienici.

In mezzo a tutti i suoi guai, il comandante della Costa Allegra, Niccolò Alba, non ha dovuto fronteggiare due incubi temutissimi da chi va per mare. Il primo è quello di un incendio che avrebbe anche potuto estendersi al di fuori della della sala macchine, con conseguenze facilmente immaginabili: quelle che hanno provocato 151 vittime sul traghetto norvegese Scandinavian Star nel 1990 e altri 140 sul Moby Prince nel 1991. Sulle navi, il fuoco è un nemico spesso invincibile. Il secondo incubo è altrettanto noto a chiunque navighi: quello di trovarsi nel mare in tempesta con una nave del tutto priva di propulsione.

Dalle immagini e dai video giunti fino a noi, infatti, pare che lo stato dell’oceano sulla rotta della nave si sia mantenuto tutto sommato favorevole, con vento forza 6 sulla scala di Beaufort (che di gradi ne prevede 12) e mare non oltre forza 4. I marinai sanno bene che trovarsi su una nave ingovernabile mentre c’è burrasca provoca ben altri problemi e pericoli che il caldo e le toilette fuori uso. Senza propulsione, per esempio, non si possono affrontare le onde orientando la prua nella direzione più adatta, senza energia elettrica non si possono azionare le pompe di esaurimento per tenere sotto controllo eventuali allagamenti, mentre con mare agitato diventano operazioni rischiose, per non dire impossibili, sia il rimorchio da parte di un’altra imbarcazione (più le due navi si avvicinano alla distanza utile a passare il cavo da rimorchio, più aumentano le probabilità di collisione se una delle due non può muoversi) sia, ancora peggio, il trasbordo in sicurezza dei passeggeri sulle unità di soccorso.

Però, a dispetto delle superstizioni di chi naviga, la fortuna e la sfortuna in mare raramente esistono davvero. Molti sinistri della navigazione, infatti, avvengono e sono avvenuti per errori di navigazione oppure per inadeguatezze nel progetto o nella realizzazione delle navi. Insomma, il fattore scatenante delle sciagure è assai spesso quello umano e la jella c’entra poco. Ovviamente, per quanto riguarda l’errore di manovra o di condotta, che quasi certamente ha causato il disastro della Costa Concordia, nulla si può ancora dire per la vicenda della Costa Allegra. Anzi, l’equipaggio di quest’ultima sembra aver reagito bene. Per quanto attiene al secondo aspetto, invece, anche se non è ancora noto cos’è accaduto di preciso a bordo, qualche considerazione si può fare.

La Costa Allegra è la più anziana delle 15 unità che compongono la flotta Costa (senza contare la Costa Concordia, ufficialmente ancora in armamento, ma di fatto già sparita dal sito della compagnia). Costruita come portacontainer nel lontano 1969 dai cantieri finlandesi Wärtsilä Oy di Turku con il nome di Annie Johnson, aveva anche una gemella, la Axel Johnson. Entrambe le unità, poi ribattezzate rispettivamente Costa Allegra e Costa Marina, furono acquistate dalla compagnia italiana nel 1992 e ricostruite quasi completamente dai cantieri genovesi Mariotti. Un’operazione di ingegneria navale piuttosto ardita (prevedeva, tra l’altro, anche l’inserimento “chirurgico” di una nuova sezione di scafo lunga oltre 13 metri e pesante 900 tonnellate) e anche non molto usuale. Tali interventi non sono infrequenti, ma lo sono quelli che prevedono un radicale cambio d’uso dell’imbarcazione rispetto a quello originariamente previsto. In questo caso, un passo non da poco: da portacontainer a nave da crociera. Lo scorso novembre la Costa Marina è stata ceduta alla compagnia coreana Harmony Cruise per la quale è previsto continui l’attività da crociera con il nome di Harmony Princess, mentre la Costa Allegra è rimasta in carico alla società genovese. Si tratta dunque di un’unità che, anche se rimodernata nel 2001, è da ritenersi piuttosto vecchiotta.

Ciò non significa affatto, ovviamente, che l’incendio sia stato provocato dalle cattive condizioni della nave. Tuttavia, le primissime informazioni (tutte da verificare) sembrano indicare che dopo l’incendio che ha messo fuori uso i generatori di energia principali, sulla Costa Allegra sarebbero andati in avaria anche quelli di emergenza, forse perché sottoposti a sovraccarichi. Per chi crede alla sfortuna, questa sicuramente lo è stata. Ma forse bisognerebbe esplorare più a fondo l’aspetto della manutenzione. E poi andare più a fondo su un altro aspetto, pressoché comune a tutte le navi da crociera, e certamente generalizzato sulle più anziane: la mancanza di un sistema di propulsione d’emergenza (di qualsiasi tipo e con qualsiasi alimentazione, elettrica o termica) in grado di ricondurle in porto senza bisogno di alcun rimorchio quando capita qualcosa che mette fuori uso l’apparato motore principale. Eppure, il concetto del “doppio” (e per certi dispositivi vitali, anche del “triplo”) viene comunemente adottato sulle navi militari con a bordo qualche centinaio di marinai dove, oltre a “raddoppiare”, si provvede per quanto possibile a compartimentare e a separare molti componenti fondamentali, disponendoli in locali lontani tra loro proprio per evitare che un incendio (per tacere dei colpi a bordo in caso di combattimento) possa compromettere la sicurezza e/o la mobilità dell’intera nave. Insomma, nel militare c’è una certa ridondanza di apparati e tanti altri accorgimenti che nel civile mancano.

In ambito mercantile, dopo il disastro della petroliera Exxon Valdez nel 1989, l’International Maritime Organization ha progressivamente imposto la regola del “doppio” alle petroliere, che oggi vengono costruite con due scafi (uno interno all’altro) in modo da ridurre la possibilità di sversamento del greggio in mare in caso d’incidente. Poche o nessuna “regola del doppio”, invece, per i grandi transatlantici che di persone a bordo ne ospitano migliaia. E tale prudenziale criterio quasi certamente non è stato seguito nei lavori di trasformazione dell’anziano transatlantico. Per capirne di più su come venne trasformata la nave, abbiamo fatto un tentativo presso i cantieri Mariotti, chiedendo di parlare con il progettista o comunque con un tecnico. Bocche cucite: «Non abbiano nulla da dire perché – ha tagliato corto l’ufficio stampa – si tratta di lavori eseguiti molti anni fa». Sarà. Fatto sta che, dopo aver perso la propulsione e proprio per non averne una di riserva, la nave s’è trovata alla deriva fino all’arrivo dei soccorsi. È andata bene, ma con un fortunale causato dai forti venti di sud-Ovest, non infrequenti in questa stagione nell’Oceano Indiano, alla vecchia Costa Allegra poteva andare anche peggio.

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