«Il rischio è calcolato. Qui è come una macchina di Formula 1: per quanto sicuri, quando si lavora a quaranta metri di altezza, sappiamo che un “pilota” dei nostri sta comunque rischiando la vita». A parlare è uno dei colleghi di Matteo Armelini, 31 anni, tecnico specializzato professionista, morto il 5 marzo 2012 nel crollo del palco in allestimento per il concerto di Laura Pausini a Reggio Calabria.
Quella della macchina da Formula 1 è una metafora che per gli addetti ai lavori è molto comune. In tanti la citano e tutti sono consapevoli dei rischi che quotidianamente si prendono costruendo palchi che sembrano sempre più cattedrali di ferro e luci in tempi ristrettissimi. Un lavoro che non miete vittime come sui cantieri: le morti negli ultimi dieci anni sono state quattro, due però nel giro di pochi mesi: la prima a Trieste quando Francesco Pinna, 20 anni, morì sul colpo durante l’allestimento del palco per la tappa di Trieste del tour di Jovanotti; la seconda a Reggio Calabria durante i lavori per lo show di Laura Pausini.
Due morti nel giro di quattro mesi che «sono un’anomalia – dice a Linkiesta un altro lavoratore del settore – perché stiamo comunque parlando di un ambiente ricco che permette di avere materiali migliori, persone qualificate come lo era Matteo, e condizioni di sicurezza ottimali». Subito dopo il crollo sono scattate le polemiche sulla sicurezza degli allestimenti. «È vero, c’è chi cerca di risparmiare qualcosa con le consegne al ribasso rinunciando alla sicurezza – spiega a Linkiesta Roberto Milanesi, consigliere dell’Associazione Nazionale Service – fortunatamente però sono una minoranza, soprattutto in contesti di alto livello».
Le imprese che lavorano nel settore, tra service per montaggio palchi e audio/video e montaggio/smontaggio stand, sono circa duemila, con un indotto totale ancora tutto da verificare. «I lavoratori dell’indotto non sono pochi – prosegue Milanesi – il problema più grosso è che come categoria non siamo praticamente considerati». Chi fa questo mestiere è infatti iscritto come artigiano, libero professionista o elettricista, e durante il lavoro si applicano le normativa di sicurezza sui cantieri che, secondo Milanesi, «col nostro lavoro hanno comunque poco a che fare».
Sulla questione sicurezza è intervenuto anche il coordinatore nazionale di Slc Cgil, Silvano Conti che punta il dito proprio sull’organizzazione della sicurezza, i riposi, gli orari e le retribuzioni. «La sicurezza costa – ha dichiarato Conti il 5 marzo 2012 immediatamente dopo l’accaduto – la Cgil, assieme agli altri sindacati, ha aperto un tavolo con le parti sociali per i lavoratori di spettacolo in cooperativa: al centro ci sono proprio le regole su sicurezza, organizzazione del lavoro, orari e riposi». Anche se, riferiscono a Linkiesta tecnici presenti durante gli allestimenti sia di Jovanotti, sia di Laura Pausini, in questi due casi nessuno ha fatto turni lunghi. Ma è un dato di fatto che all’estero lavorino in questi casi le doppie squadre, mentre qui molte volte di doppio ci sono solo i turni di lavoro.
Altri impiegati nel settore dicono che «la maggioranza di quelli che fanno questo mestiere sono ragazzini alla prima esperienza», mentre invece c’è chi rassicura: «non è più un lavoro di gente improvvisata ma di operai sempre più specializzati, che la formazione la fanno seriamente. Se poi vogliamo parlare dei facchini – continua un altro operaio – lì è vero paghe ed esperienza sono più basse, ma portano e spingono bauli e strumenti».
Dei budget da capogiro e degli introiti dei biglietti venduti per i concerti (si calcola un volume di affari di 5 miliardi di euro), la maggior parte finisce nelle tasche dei big e a luci spente chi deve smontare e rimontare lo show il giorno successivo torna a sgobbare «anche su turni da 14 ore», ci dice un consulente del lavoro del settore. Poi in questi casi c’è sempre la difficoltà nel capire chi sia il vero committente dei lavori che gravitano attorno all’evento. «Committenti che spesso si nascondono dietro prestanome per sollevarsi dalle responsabilità, e probabilmente – ci dicono – sarà difficile anche per l’indagine in corso a Reggio Calabria accertare le responsabilità effettive di quello che è successo».
Eppure lo “showbiz” del live in Italia macina 5 miliardi di euro in un anno, cresce dal 4% al 6% in periodi di crisi e nell’indotto del “dietro le quinte” si trovano a operare quasi 100mila persone. Di riconoscimento professionale però si è parlato solo negli ultimi anni, così diventa difficile anche stimare dati e numeri sul sommerso, infortuni e morti sul lavoro. «Per poter fare un libro bianco – spiegano dal sindacato dei lavoratori dello spettacolo – dovrebbe esserci un riconoscimento professionale delle categorie, che ancora non c’è».
Palco per il concerto di Jovanotti a Trieste. Nel crollo perse la vita Francesco Pinna, 20 anni
Un dato sul sommerso che gira intorno all’industria degli eventi culturali “dal vivo” deve ancora arrivare, quella che c’è è una linea che separa i lavoratori dello spettacolo e quelli delle cooperative locali che reclutano personale sul posto. «Tanti promoter locali – dice a Linkiesta un rigger (operaio arrampicatore che si occupa di manutenzione od allestimento di strutture quali alberi, tralicci, teatri, concerti) – fanno lavorare persone incaricandole con contratti da fame o che non esistono per mandarli nel palazzetto a darci una mano, senza avere idea di cosa debbano fare». Un dato, quello del caporalato tra cooperative, società di multiservizi e addirittura associazioni culturali o comuni, che ci riferiscono essere «inquantificabile e diffuso in tutta Italia, soprattutto in seguito ai sub appalti, che sempre più spesso si trasformano anche in sub sub appalti».
«Qui la vera piaga – spiegano anche gli addetti del sindacato – non è tanto il lavoro nero, quanto la precarietà e la ricattabilità dei lavoratori del settore. Il personale che lavora all’allestimento dello spettacolo è qualificatissimo, ma dei soldi dello show-business alla fine vede le briciole e quando ci sono 20 date in 30 giorni si lavora anche due notti su tre». E quando si è in ritardo? «In cantiere – dice un altro tecnico al lavoro sui palchi di tutta Italia e d’Europa – se si è in ritardo, si differisce la consegna, qui no, “the show must go on”».
Il disagio maggiore della categoria è dovuta dal fatto di non essere riconosciuti come professionalità, così si applicano i contratti e le coperture assicurative più varie, a seconda delle cooperative che assumono. Proprio questa frammentazione rende difficile stimare gli occupati in questo indotto; c’è tanto lavoro nero, soprattutto tra coloro che montano e smontano gli stand nel corso degli eventi fieristici, piccoli e grandi. La questione contratti è spinosa e i sindacati hanno appena aperto un tavolo per cercare di dotare il settore di un contratto nazionale cultura che comprenda anche chi lavora nel “dietro le quinte”. Nei prossimi mesi ci saranno confronti anche col ministero del Lavoro per risolvere la questione.
Altro settore coinvolto è quello degli allestimenti fieristici. «Qui – dicono i sindacati – si apre un mondo a parte, dove nero e caporalato viaggiano fortissimo e gli incidenti sono sempre più frequenti». Anche qui manca una raccolta di dati organica sul fenomeno, ma non ne sono esenti sia piccoli sia grandi eventi. Basti pensare che nel settore edilizia, dove poi rientra anche l’allestimento degli stand alle fiere, vivono sotto caporalato 150mila lavoratori.
«Alle fiere – spiega a Linkiesta un trentenne che con partita Iva fa l’imbianchino e monta stand – si andava e si poteva chiedere anche 15 o 18 euro l’ora. Oggi tanti, troppi lavoratori entrano in nero e con 6 o 7 euro l’ora tirano in piedi interi padiglioni». Anche se la maggiore incidenza dei lavoratori in nero si verifica nei piccoli eventi cittadini come feste di paese e sagre, ci sono i anche grandi appuntamenti, dal Motor Show di Bologna alla sagra del pistacchio di Catania
Una giungla di contratti e norme obsolete che gettano questo particolare segmento della vita economica italiana nella confusione più totale, anche se, spiega un esperto del settore a Linkiesta «quando abbiamo cercato di coinvolgere le imprese a livello nazionale la risposta, purtroppo, è sempre stata troppo scarsa». Questi avvenimenti sembrano però aver dato una spinta verso una richiesta unitaria di riconoscimento della categoria, sia a livello professionale, sia contrattuale.
Ma per chi vive il mondo del dietro le quinte tutti i giorni, il settore «oggi è, purtroppo, una grande nebbia in cui tanti si infilano per fare guadagni in deroga a ogni tutela e all’etica del lavoro. Per esempio – prosegue – tutti vogliamo sapere cosa è successo a Reggio Calabria e vedere il piano di sicurezza di quel palazzetto». Preferisce rimanere anonimo chi ci consegna queste ultime parole «il periodo è spinoso, il ricatto è sempre dietro l’angolo».