Dal ministero dei Trasporti arriva l’ennesima pessima notizia riguardante le immatricolazioni di auto nuove. Il consuntivo del mese di febbraio appena concluso è semplicemente devastante: 133mila 661 nuove targhe in tutto, con un calo del 18,94% rispetto allo stesso mese del 2011, che già era stato problematico. Tra l’altro, essendo il 2012 bisestile, febbraio ha avuto un giorno lavorativo utile in più rispetto al 2011: 25 invece di 24, sabati compresi, anche se ormai, tra weekend promozionali e presentazione di nuovi modelli, gli autosaloni lavorano ormai 7 giorni su 7.
Infine, a completare il quadro, Federauto (l’organizzazione che rappresenta i concessionari) ha fatto notare ieri che senza le immatricolazioni degli esemplari km zero, cioè quelli targati in fretta e furia negli ultimi tre giorni del mese per sostenere artificialmente i dati e lasciati poi a languire nei depositi in attesa di clienti a caccia di sconti, febbraio avrebbe chiuso con un pesantissimo -35,3 per cento. Insomma, come fa notare il presidente di Federauto, Filippo Pavan Bernacchi, «nemmeno la massiccia iniezione di km zero ha arginato la débacle, e quel -18.94% nudo e crudo non rende la drammaticità del dato».
Nei primi due mesi dell’anno, la perdita complessiva di immatricolazioni sullo stesso periodo del 2011 è del 17,8% e proiettando i numeri del disastro bimestrale sul prevedibile andamento degli altri mesi mesi del 2012 si arriverebbe a nuove immatricolazioni per 1,5 milioni di vetture, ovviamente comprese le immancabili km zero. Cioè, molto al di sotto delle previsioni più pessimistiche che si facevano fino a pochi mesi fa e che la realtà dei numeri costringerà probabilmente a rivedere al ribasso. A commentare i risultati già consolidati e di quelli previsti stanno arrivando i soliti comunicati preoccupati delle altre organizzazioni di categoria della filiera automobilistica, che si susseguono ormai da mesi con lo stesso tono: «Governo, aiuto. Fai qualcosa per l’auto prima che sia troppo tardi». In realtà, le stesse organizzazioni sanno benissimo che, da tempo, il governo è girato dall’altra parte. Le uniche misure prese sono state legate all’aumento del flusso di cassa, con accise sui carburanti e introduzione di un super bollo per le vetture.
La voce monocorde della filiera, nella sua difesa degli interessi di categoria e dei suoi addetti, stride con quella di Sergio Marchionne, l’amministratore delegato di Fiat Group Automobiles. Eppure, anche il manager italo-canadese è in prima linea nell’affrontare il problema di un mercato italiano dell’auto che si dimostra ancora meno ricettivo di quello europeo, che già non brilla. Marchionne ha dovuto arrendersi di fronte alle immatricolazioni del suo gruppo che hanno registrato a febbraio una flessione ancora più marcata del mercato (-20,13%). L’ad di Fiat ha parlato nei giorni scorsi di una produzione automobilistica che nel vecchio continente eccede del 20% la domanda e ha indicato la «flessibilità» come la via da seguire per venire a capo del problema, intendendo dire che deve essere l’offerta di beni ad adeguarsi alla domanda, e non viceversa. Se non si riesce in alcun modo a stimolare gli acquisti sarà quindi necessario chiudere gli stabilimenti che producono le eccedenze e che quindi non servono.
Trasferito nel mondo della distribuzione automobilistica, il ragionamento indica che non si può tenere aperto un numero di concessionari che potrebbe vendere 2 o 2,5 milioni di vetture se il mercato può assorbirne a malapena soltanto 1,5 milioni. In realtà, in Italia i concessionari stanno già chiudendo, ma forse non velocemente quanto il crollo del mercato.