Aung San Suu Kyi ha denunciato il rischio di brogli elettorali nel voto in Myanmar (Birmania). La leader dell’opposizione guarda con attenzione allo svolgimento del voto, seguito anche da osservatori stranieri, perché dipenderà proprio dalla trasparenza dell’esercizio democratico il futuro del paese.
Il partito della signora Suu Kyi, la Lega nazionale per la Democrazia (Nld), punta a vincere due terzi dei 44 seggi per cui corre nelle elezioni di domenica indette per colmare 45 posti vacanti (37 per la Camera bassa, 6 per il senato, 2 per le camere regionali). Un risultato che nelle migliore delle ipotesi non cambierebbe l’equilibrio di forze all’interno del Parlamento, occupato per l’80% dal “partito dei militari” (Unione per la solidarietà e lo sviluppo, Usdp) ma che sarebbe una rivoluzione nel sistema politico birmano. E non solo perché stavolta i cittadini potranno votare per la persona che vorrebbero vedere in futuro alla testa del paese, “The Lady” Suu Kyi, che ha vissuto per anni agli arresti domiciliari per via del suo impegno politico per una Birmania prima indipendente e poi democratica, e ne è diventata l’icona, ma soprattutto perché lasciano una speranza di riforma del sistema politico nazionale. Suu Kyi corre infatti per un seggio nella divisione di Yangon (Rangoon), la più grande città stato birmana, che vale la possibilità di proporre riforme per cambiare l’assetto statale.
Durante la campagna, le intimidazioni al Nld non sono mancate. I militanti denunciano pressioni da parte di agenti governativi, e si aspettano brogli. L’invito degli osservatori internazionali servirà, ma non è garanzia di trasparenza nella selva burocratica birmana. E’ infatti questo il punto di partenza per capire quanto sarà possibile una vera svolta. Suu Kyi aveva denunciato già “molte e molte irregolarità” nelle liste elettorali, nelle quali, ad esempio, erano state incluse persone morte da tempo. La preoccupazione maggiore è che il partito di governo usi la forza per intimidire gli elettori, come successo nelle elezioni generali del novembre 2010 che non avevano subito alcun controllo internazionale. Per questo la decisione del governo di invitare degli osservatori esterni, prima dell’Asean (Associazione del paesi del Sud Est Asiatico) e più di recente di Stati Uniti ed Europa rappresenta un passo avanti. Il governo infatti sa bene che dal corretto svolgimento dipenderà la decisione delle potenze occidentali di togliere o alleggerire le sanzioni economiche nei confronti del Myanmar.
Superato questo scoglio, altro fattore da valutare è l’efficacia di un’opposizione al partito dei militari in Parlamento. Anche una vittoria schiacciante di Suu Kyi non consentirebbe infatti di cambiare gli equilibri né alla camera bassa, che conta 440 seggi, né al Senato, che ne conta 224. Il potere di veto dei militari sarà garantito fintanto che manterranno il 25% dei seggi in entrambe le camere e il potere esecutivo sarà affidato al presidente. La speranza è che lentamente si arrivi a una modifica della Costituzione, un assetto che rimarrebbe comunque lontano dalla definizione di democrazia per com’è conosciuta in occidente (il Myanmar è al 161esimo posto su 167 nel “Democracy Index” dell’Economist).
L’ascesa di Suu Kyi potrebbe contribuire a scardinare il potere del presidente Thein Sein e spingere verso un approccio riformatore. Non è chiaro quanto la voce della dissidenza e dei diritti civili possa cambiare le carte della politica birmana, quello che è certo è che l’ingresso di una vera opposizione in Parlamento potrà modificare il modo in cui il paese di avvicinerà all’obiettivo. Suu Kyi dovrà inoltre evitare quella che sembra un’arma a doppio taglio. Tra gli obiettivi del suo partito c’è quello di abbattere la corruzione e difendere i diritti umani, eppure i suoi nemici, in primis i politici che furono asserviti al regime, potrebbero minarne la credibilità a livello internazionale e nazionale accusandola di non essere riuscita nell’intento e quindi di tollerare questi abusi. E’ chiaro che non sarà per sua volontà, quanto per il loro ostruzionismo, ma ribaltare i sogni di Suu Kyi a loro favore è un risvolto politico che non andrà sottovalutato.