VAL DI SUSA – «Stavolta non diciamo più dove andiamo», e comunque «se arrivano, stiamo lì un po’. Ma non restiamo tutta la notte». Chi può arrivare è la polizia. E chi non vuol restare tutta la notte sono membri del NoTav. Niente resistenza per giovedì? Le mezze parole scambiate tra i leader, nel tardo pomeriggio, fioriscono tra i progetti per la serata e le amare considerazioni sugli scontri con la polizia della notte prima, allo svincolo dell’autostrada, tra Bussoleno e Chianocco nella zona del Vernetto. «Quello che ormai i correttori automatici definiscono “verdetto”», scherzano, parlando su Radio-NoTav, cioè il giovedì di Radio Blackout. E, se “verdetto” è stato, si tratta di una vittoria, secondo loro.
Certo, il presidio è stato sgomberato, la polizia li ha caricati «per più di un chilometro», sono stati fermati in cinque, e uno è rimasto in arresto. La sassaiola dei NoTav ha provocato la reazione dei carabinieri con fumogeni «che sono finiti anche nelle case, sui terrazzi, contro le finestre», e tutti sono tornati a casa bagnati, confusi, in lacrime e con qualche contusione. Ma è una vittoria, sostengono, perché il movimento è ancora unito.
Tanto che alle 18 di giovedì c’è una nuova assemblea, stavolta con tanto di telecamere e televisioni, Sky, Rai, La7. Alle cinque la piazza è già affollata, alle sette e mezza, quando comincia il comizio, straborda. «Questo è il loro momento di maggior debolezza», spiega alla piazza Nicoletta Dosio, una dei leader del movimento. «Perché sanno che le loro ragioni, proprio a livello economico, non tengono più». Le fa eco Alberto Perino: «adesso fare il Tav è come voler comprare un Ferrari anche se non si arriva a fine mese». La folla è entusiasta, applaude. E allora, «Resistenza», gridano. Come una volta, la salvezza della valle è nelle loro mani. E partono due dimostrazioni: «una in Alta Valle», e un’altra «verso il presidio sgomberato ieri», lungo la statale, in direzione del Vernetto. Una manifestazione pacifica, a quanto sembra. Una marcia «per dimostrare che non ci fanno paura».
A metà strada cambia tutto. Il corteo si ferma: lì vicino, oltre un campo non coltivato, c’è l’A32e la galleria Prapontin. È la svolta: i primi partono e il corteo li segue. Il corteo si rivela un pretesto per una nuova azione dimostrativa. Con mani esperte, strappano le reti, staccano i pali e saltano gli steccati. In un istante il traffico dell’autostrada è bloccato: la folla è divertita e orgogliosa. «Gliel’abbiamo fatta anche stavolta», ridacchiano. Poi, il trionfo: viene esibito lo striscione, illuminato dai fari dei camion fermi: «La Val di Susa paura più non ha», cantano. E come un bollettino di guerra parte l’elenco di tutte le manifestazioni in solidarietà dei NoTav che si sono formati in Italia: «A Milano hanno bloccato la stazione Centrale». «A Bologna hanno occupato la circonvallazione». E poi Torino, dove hanno «occupato piazza Vittoria». E il grido, di tutti, è per Luca Abbà.
Mentre le persone festeggiano, il braccio operativo, a volto coperto, fa partire la devastazione. Strappano i guardrail, rompono pietre e con i rami degli alberi vicini accendono un fuoco. Bruciano un mezzo della Sitaf, la concessionaria dell’autostrada, dopo averlo portato in mezzo alla galleria. «Il presidente dell’autostrada oggi ha messo in cassa integrazione più di 200 operai. Ha detto che è colpa dei presìdi e dei blocchi, che creano perdite», spiega a Linkiesta uno dei manifestanti. «Ha detto che se continuano, la sua società fallirà. Inutile dire che per noi è un invito a nozze», sorride. Intanto, la polizia non interviene. La statale è bloccata, l’autostrada è bloccata. Non possono nemmeno raggiungere la galleria.
E se nella galleria accendono fuochi e distruggono l’autostrada, ai lati dell’A32 la gente si saluta, chiacchiera, discute. «A volte ci si incontra solo in queste occasioni», raccontano due amici. Come a una sagra paesana. Il clima, del resto, è quello. Anche se, come spiega Maria, “solo valligiana”, «c’è molta amarezza». Perché? «Le istituzioni non ci ascoltano, e siamo costretti a fare queste cose anche violente, per farci sentire. Del resto, lo Stato con la sua arroganza sa essere più violento di noi», spiega.
In ogni caso, continua «lottare richiede impegno, fatica: tutto il nostro tempo libero finisce qui. Ma per noi è un dovere». Un dovere? «Sì», risponde il marito. «Di fronte a uno Stato che è violento, si può rispondere solo così. E poi lo dobbiamo ai nostri figli. Non possiamo permetterci di lasciar loro una valle inquinata, con un livello di uranio e amianto nell’aria altissimo». osa che temono possa accadere se partono i lavori. «Non lo possiamo fare. Rovinare la valle significa compromettere il futuro dei nostri figli. Chi lo permetterebbe?».