Per noi baresi la cozza pelosa è la Monica Bellucci delle cozze. Sul lungomare, un tempo, si mangiava spettacolarmente cruda: un colpo di coltello, una goccia di limone, un pezzo di pane d’accompagno: what else? Di colpo, la mia amatissima cozza pelosa è tornata sulle prime pagine grazie al sindaco di Bari, naturalmente. Che dio gliene renda merito, a Emiliano. Quel gran figo di Emiliano. Il migliore dei sindaci, Michele Emiliano, già tostissimo magistrato.
Capita che, dagli interrogatori di un criccaiolo spinto, tal Degennaro, consigliere regionale Pd (ma va’) e imprenditore, emerga nel capoluogo pugliese il solito quadro devastante dei rapporti tra questi cosiddetti imprenditori e i cosiddetti pubblici ufficiali, i quali sembra sgavazzassero allegramente tra viaggi e «donazioni». Ma per questo ci sono magistrati che indagano. A noi, come dicevo, interessano più che altro le cozze pelose.
Nei giorni del Natale suonano alla porta di casa Emiliano. Apre la signora e si trova davanti un plastico 1:1 del mercato del pesce: 4 spigole giganti, 20 scampi, un certo numero di ostriche imperiali, 50 noci sempre imperiali, 50 cozze pelose e 8 astici. Più naturalmente champagne, vino, formaggi. E’ festa, ragazzi! Il sindaco accetta il banco del pesce senza batter ciglio. E mangia allegramente con tutta la famiglia la sera del 24.
Con grande ritardo, e solo perché qualche giudice ci ha messo il becco, questa «fish-story» è diventata di dominio pubblico. Per tutto questo tempo il signor sindaco è stato zitto, poi ieri, come ebbe a dire Christian De Sica in un mitico cinepanettone, «mi si sono riproposti gli scampi». E così Emiliano ha riunito i giornalisti in una lunga conferenza stampa, dove si è dato del bambino arrogante, ha confessato i suoi errori, tra cui la benezione alla figlia di Degennaro e ha posto l’asticella della sua moralità ben oltre «quattro branzini e un po’ di cozze pelose». Per cui non si è dimesso.
Se era possibile peggiorare la sua situazione, Michele Emiliano ci è riuscito il giorno dopo, quando ha di fatto ricondotto all’epopea berlusconiana tutte le colpe di quel che sta succedendo nel suo comune. Linkiesta su questo gli ha dedicato un opportuno corsivo.
Ma c’è un altro aspetto dell’animo umano, sino a oggi poco indagato, che definisce la pochezza di un dirigente politico come il sindaco di Bari. E che richiama alla memoria in modo molto diretto la faccenda Penati, quando il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, che gli aveva affidato la sua segreteria e cioè il luogo più intimo del fare politica all’interno di un partito, si mostrò del tutto sorpreso per le accuse che piovevano sul capo del suo (primo) collaboratore. La scena più o meno si è ripetuta con Emiliano, che a precisa domanda su Degennaro, ha risposto sostanzialmente che lui aveva conosciuto un’altra persona. Dobbiamo pensare perbene, evidentemente.
Ebbene, noi cittadini di questi allocchi ne abbiamo piene le tasche. Di questi signori che sempre il giorno dopo si sorprendono di quel che è accaduto il giorno prima, che balbettano qualche parola di circostanza quando emerge il solito quadro devastante di rapporti tra loschi imprenditori e loschi funzionari, che piazzano tonnellate di pesce nella vasca da bagno (un’immagine che resterà scolpita nella storia!), che piangono caldissime lacrime (di coccodrillo) ma non schiodano dalla poltrona «per il bene della città».
In politica, c’è solo un elemento che non è ammesso: la non-consapevolezza. Non è ammesso l’accorgersi a posteriori di un processo deteriore che è percepibile già nei particolari, nei rapporti quotidiani, nelle pieghe della vita politica, prima ancora che nella vera e propria opera corruttiva. E cosa doveva pensare un sindaco minimamente sveglio, quando a casa sua piove un’intera pescheria? Quale persona perbene, che abbia ancora un minimo di stile, di decoro, di dignità, ti devasta l’appartamento con una tonnellata di mitili? E se hai le rotelle arrugginite, non ci dovrebbe sempre essere una moglie presente che ti chiede: «Ma Michele, chi è questo coglione che ci manda tutta ’sta roba?»
Di questo mondo a nostra (sua, mia, loro) insaputa ne abbiamo piene le tasche.