Brutta la vita per chi lavora ai centralini delle associazioni dei consumatori in questi giorni. E anche per chi siede dietro al vetro dello sportello degli uffici comunali, per la verità. Per non contare chi deve rispondere ai numeri verdi delle varie società che gestiscono i rifiuti nella maggior parte delle città d’Italia. È in corso un vero e proprio assalto da parte di migliaia di persone con un’unica domanda: come faccio a farmi restituire l’illegittima Iva versata con la tariffa di igiene ambientale (la Tia, che in numerose città ha sostituito la Tarsu)? Il problema non è la domanda, ma la risposta, dato che, in fondo, nessuno lo sa.
Questi i fatti: la Corte di Cassazione, non più tardi di un mese fa, ha stabilito che l’Iva pagata con la bolletta relativa alla tariffa sui rifiuti è illegittima. Le imprese che da anni la stanno pretendendo sbagliano, e ora devono restituirla. È un tesoretto non da poco, circa 400 euro a famiglia, moltiplicato per gli anni (a volte anche dieci) in cui è stata indebitamente versata, che in totale fa circa un miliardo di euro.
Controllate la bolletta, insomma: se invece della Tarsu si paga la Tia (un cambio di denominazione che corrisponde a una modifica della natura stessa dell’obolo) si legga alla voce Iva. Ecco, quelli sono i soldi che dovrebbero essere restituiti.
Purtroppo, per le migliaia di cittadini in coda, il condizionale è d’obbligo. Innanzitutto perché anche dopo la sentenza della Cassazione (che giunge dopo una querelle iniziata due anni fa tra le aziende municipalizzate e le associazioni dei consumatori) nessuno ha legiferato, prodotto direttive, regolamenti. Quindi, regna il caos più totale anche sulla scadenza dei termini: era stato detto che oggi sarebbe stato l’ultimo giorno per compilare il modulo con tutti i dati delle bollette illecite. Ma Federconsumatori precisa che i termini scadono in base alla data della prima bolletta con Iva illegale versata. In ogni caso, ci è stato spiegato, fate il prima possibile. Nel dubbio, meglio affrettarsi.
Ma, soprattutto, chi deve restituire i soldi? Le aziende del settore, riunite sotto la sigla di Federambiente, lo hanno scritto nero su bianco tre giorni fa: «Diffidiamo lo Stato a pagare quanto dovuto». Già perché, sostengono: noi l’Iva l’abbiamo versata all’erario, mica tocca a noi restituirla. E d’altro canto, non dovrebbero certo pagarla due volte.
Lo Stato? Nicchia. E intanto la spada di Damocle di un rimborso miliardario pende sulla testa del governo. Dagli uffici tecnici del ministero dell’Economia fanno sapere che si potrebbe proporre alle aziende di anticipare la somma dovuta, che poi sarà scontata in sede di pagamento di tasse. Ma è una soluzione che non piace alle imprese, già con i conti vicini al rosso. «Alcune potrebbero chiudere, oppure si potrebbe decidere di aumentare la Tia per sopperire alla mancata liquidità», ci rispondono da Federambiente. E così ci sarebbe il paradosso che i cittadini subiscano aumenti per potersi risarcire l’Iva versata illecitamente.
Nel frattempo, però, c’è chi corre ai ripari, con i primi aumenti: accade in Emilia Romagna, Lombardia, Campania. La Tia è già maggiorata rispetto all’anno scorso. Originale la risposta, poi, dell’Acam, la società spezzina della gestione del servizio rifiuti: non avendo ottenuto indicazioni contrarie in merito, continua ad esigere l’Iva al 10%. Negli uffici, assaliti dai residenti di Follo, Riomaggiore e Spezia, che fin dal 2006 sono passati dalla Tarsu alla Tia, gli impiegati non hanno risposte certe. E il quotidiano La Nazione ci racconta che Spezia Risorse, la società spezzina di riscossione tributi, ha affisso un cartello: «Non esiste nessuna comunicazione di legge in materia di rimborso per l’Iva sulla Tia e non è disponibile nessun modello di rimborso ne vengono riprodotte le fatture relative alle annualità pregresse». Esiste una sentenza della Cassazione, per la verità, ma i nostri legislatori forse non se ne sono accorti.