Altro che concorso di bellezza. Il mestiere di Mediaset diventa un lavoro sempre più duro. La crisi ha ridotto la torta pubblicitaria del mercato, che a sua volta si divide fra un numero crescente di canali. Aumenta la competizione per l’approvvigionamento di contenuti, che restano costosi. E poi la sfida della convergenza con una televisione permanentemente connessa a internet (connected tv), che frammenta l’audience e rappresenta una minaccia temibile per la televisione tradizionale.
I conti diffusi oggi dal gruppo Mediaset raccontano di un 2011 difficile, e ne promettono uno ancora meno facile. Gli utili si sono contratti a 225 milioni (-36% sul 2010), e i vertici sono stati costretti a ridurre i dividendi da distribuire ai soci (da 35 a 10 centesimi). I ricavi totali del gruppo sono rimasti stabili a 4,2 miliardi (-1%), ma la raccolta pubblicitaria è scesa del 3,3% (-4,5% sulle reti tradizionali), con la consolazione di essere andati un po’ meglio del mercato (-3,8%). Anche se le analisi della Nielsen sull’Italia continuano a confermare che la televisione assorbe metà degli investimenti, è la torta complessiva che si restringe.
La multicanalità è ancora lontana dal tamponare le falle della tv tradizionale. Vero è che oggi le reti digitali portano 200 milioni di spot, come rivendica Giuliano Adreani, amministratore delegato del gruppo e numero uno di Publitalia. Ma persino la pay tv fatica a portare utili. Nel 2011 Mediaset Premium ha chiuso con una perdita operativa di 68,5 milioni rispetto al rosso di 300 mila euro dell’esercizio precedente, il che costringe a rinviare di almeno due anni l’obiettivo del pareggio. E questo nonostante i ricavi (vendita di carte, ricariche, abbonamenti, spot) siano saliti del 14% a 615 milioni. Il punto è che il costo dei contenuti resta alto. Nel caso specifico, il rinnovo dei diritti televisivi del calcio ha lasciato il segno.
Più in generale, il tema dei costi è centrale nelle strategie che Mediaset dovrà mettere in atto per quest’anno: dei 4,2 miliardi di ricavi, circa 567 milioni se ne vanno in spese per il personale, 1,8 miliardi in diritti e un altro miliardo in ammortamento dei diritti acquistati. La marginalità operativa scende così al 12,7% dal 19% del 2010, e promette di peggiorare, se non si interviene. Adreani ha promesso al riguardo un tagli dei costi dei 250 milioni entro il 2014. Obiettivo ambizioso, e arduo. Gli utenti hanno fame di contenuti, e la competizione degli operatori per aggiudicarseli gioca a favore di chi li produce.
Perciò, se anche il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri centrasse l’obiettivo di ottenere gratis le frequenze del digitale terrestre (v. articolo su incontro con il premier Monti) – la cui assegnazione è stata congelata dal ministro Corrado Passera fino al 19 aprile –, per le prospettive strategiche di Mediaset cambierebbe ben poco. Il problema vero è la sfida che arriva dal web, dove il gruppo fondato da Silvio Berlusconi, nonostante i passi avanti compiuti con il Tgcom24, si muove in un mare sconosciuto. Così mentre i giganti del web, come Google, Amazon, Apple sono impegnati a conquistarsi uno spazio sul mercato della tv connessa, suona involontariamente buffa la promessa di Adreani di «triplicare la raccolta attuale sul web, che nel 2012 arriverà a 30-40 milioni». Noccioline, per ora.
Twitter: @lorenzodilena