Per la prima volta il Comune di Milano ottiene un indennizzo per «danno d’immagine» in un processo contro la ’ndrangheta, dopo essersi costituito parte civile. L’indennizzo per il comune meneghino, la cui intenzione di costituirsi parte civile era stata comunicata dallo stesso sindaco Giuliano Pispaia, ammonta a 50mila euro.
La decisione del tribunale di Milano è arrivata ieri nella sentenza che ha visto alla sbarra il clan Flachi nel processo con rito abbreviato, dopo l’operazione di Ros e Guardia di Finanza denominata “Redux-Caposaldo”, che aveva portato a 35 arresti nel marzo del 2011. Quattro dei 35 arrestati erano accusati di associazione di stampo mafioso. La pena più alta, 14 anni, è andata a Davide Flachi, figlio del capoclan storico Pepè Flachi, grande manovratore degli affari della ‘ndrangheta a Milano tra gli anni ’80 e ’90, conosciuto anche come il boss della Comasina e l’erede di Vallanzasca. Le altre condanne inflitte dal tribunale vanno da 10 mesi a 11 anni e vedono coinvolti i protagonisti di una delle inchieste più interessanti, e inquietanti, sulla ’ndrangheta a Milano. Dall’indagine, condotta dalla DDA di Milano e suffragata dal giudice per le indagini preliminari Giuseppe Gennari, è emerso uno spaccato delle attività economiche, politiche e mafiose dei clan a Milano.
Dalle cooperative che giravano col marchio TNT per il trasporto pacchi, ai baracchini fuori San Siro, che senza la “messa a posto” dei Flachi non potevano sostare, dallo spostamento della terra con i camion sui cantieri del metrò 5, Portello fiera, box davanti al teatro Smeraldo e al comando dei vigili del fuoco di Monza. «Non esiste cantiere, pubblico o privato che sia, in cui – puntualmente – non si presenta il solito camion di padroncini calabresi a caricare terra e detriti di scavo. E nessuno si permette di eccepire nulla», scrive il gip accogliendo le richieste del capo della Dda Ilda Boccassini e pm Storari-Dolci-Proietto.
Eppure, risulta agli inquirenti, anche in seguito a un colloquio avuto in carcere poprio col figlio Davide, il capo indiscusso, nonostante si trovi detenuto a Parma, è sempre lui, il boss della Comasina, Pepè Flachi, lo stesso che negli anni ’80 e ‘90 si spartiva gli affari lombardi col boss Franco Coco Trovato. In che modo? Quando Pepè lascia il carcere di Parma in permesso e arriva a Milano i summit si tengono in una stanza dell’Ospedale Galeazzi di Milano e uno degli affiliati riesce anche a farsi riservare uno degli uffici del Niguarda.
Summit, pizzo, movimento terra, ma anche locali notturni e politica. È il caso di nomi noti della movida milanese, come l’Hollywood e il De Sade, dove la criminalità organizzata arriva ad acquistare tramite prestanome, nel caso del De Sade, mentre all’Hollywood decide bodyguard e servizi. Tutti, nel giro dei locali della zona, e le intercettazioni disposte nell’inchiesta lo testimoniano, sanno che ad Affori, Bovisa, Comasina e zone varie gli «after hour li fanno loro, i Flachi».
Poi ci sono, immancabili, i contatti con la politica e le istituzioni lombarde che qui emergono in modo preoccupante, ancora una volta. E’ in questa indagine che il gip Giuseppe Gennari fa la lista di quello che viene definito il “capitale sociale” della ‘ndrangheta, cioè quei non affiliati, ben inseriti nel tessuto economico-politico che possono favorire le attività dei clan sul territorio.
È lo stesso Gip, che nell’ordinanza con cui firmava i 35 arresti dell’operazione Redux-Caposaldo, dedica un capitolo intero ai nomi di quel capitale sociale, che però, vista la sempre più ristretta applicazione del cosiddetto “concorso esterno”, scrive Gennari, sottotlineato, «il risultato quasi paradossale è che uno degli aspetti di maggiore pericolosità del fenomeno criminale mafioso rischia di sfuggire ad ogni tipo di sanzione penale».
I nomi del capitale sociale in Lombardia si rincorrono con posizioni e valenze istituzionali sempre diverse, ma con buone entrature da sfruttare. Così da Carlo Chiriaco, direttore dell’Asl di Pavia, oggi imputato per concorso esterno in associazione mafiosa, a Massimo Ponzoni, da Antonio Oliverio, comparso anche in questa indagine al commercialista con incarichi pubblici Pietro Pilello, dai funzionari di banca ad alcuni appartenenti delle Forze dell’Ordine, come abbiamo avuto modo anche di documentare.
I pm e il Gip di Milano affermano che alcuni politici milanesi ricorrano ai voti delle cosche, e passano in rassegna anche circostanze imbarazzanti e poco limpide che vedono coinvolti nomi dei palazzi della politica in regione, poi non indagati, ma con contatti comunque significativi. Raccogliere prove di appoggi e voto di scambio è difficile, infatti nonostante gli elementi raccolti, nessun politico è stato indagato. A margine dell’operazione, Ilda Boccassini puntualizzò «Emerge tuttavia un tentativo di contatto con il mondo politico e in particolare, per la competizione elettorale del 2008 da parte di Davide Flachi con persone che si riteneva potessero partecipare alle amministrative». Per poi sottolineare che «questo non significa che le persone “appoggiate” sapessero di ricevere voti da parte della famiglia Flachi, ma al giorno d’oggi basta smanettare su internet per sapere che Davide Flachi e’ stato condannato per omicidio. Internet oggi consente di verificare se una persona ha avuto l’onore delle cronache». Insomma, un suggerimento alla politica per verificare a chi si stringe la mano durante cene e cocktail elettorali.
Ieri si è chiuso il processo con rito abbreviato e oltre alle condanne è arrivato per la prima volta il riconoscimento del danno d’immagine al comune di Milano per fatti di mafia. Una costituzione parte civile, che secondo l’attuale presidente della commissione comunale antimafia del comune, David Gentili «ha un valore politico, sociale, culturale di grandissima rilevanza, non solo perché dice in buona sostanza che gli imputati hanno danneggiato l’immagine del Comune di Milano – rileva Gentili durante la seduta in consiglio dello scorso 6 febbraio dopo la costituzione parte civile del comune – e della Città di Milano, ma anche perché quest’indagine ha di fatto scoperchiato una cappa terribile che in alcuni quartieri, e non solo in quartieri del nord Milano, ma il clan si è spinto fino al centro di Milano, si è generata intorno all’imprenditoria sana e al commercio sano. Per cui – conclude Gentili – il messaggio è anche di sostegno all’imprenditoria e al commercio sano che è stato penalizzato fortemente dalla presenza territoriale, militare di questa cosca, è stato penalizzato dal racket che molti di loro hanno subìto o non hanno voluto subire e per questo sono stati danneggiati».