A Mantova la Primafrost licenzia, e ignora tutte le regole

A Mantova la Primafrost licenzia, e ignora tutte le regole

MANTOVA – «Benvenuti alla Primafrost, la centrale logistica del freddo». Così inizia la pubblicità in rete, che risale al 2009 e descrive i punti di forza dell’azienda di stoccaggio di surgelati di Valdaro, frazione di Mantova, in gran parte posseduta da Lombardini Discount (93%) e in parte da Romano Freddi (7%), imprenditore dei surgelati noto in città. Con orgoglio, Elisa Savoia, amministratore delegato della Primafrost, racconta la novità tecnologica del voice picking, un sistema appena introdotto che rende il lavoro più veloce ed efficiente. Lei stessa di dice «molto soddisfatta», e anche gli operai – cosa che, ammette, non aveva valutato – «erano entusiasti». I lavoratori, spiega, «normalmente non mi vengono a dire se sono soddisfatti o meno rispetto a quello che fanno». E sorride.

Eppure, da sorridere c’è poco. I lavoratori – e lo hanno detto con chiarezza – non sono per nulla soddisfatti, almeno da agosto 2011. Non si tratta certo del sistema voice picking. I problemi sono altri, e molto più gravi. Le paghe, ad esempio, sarebbero irregolari e spesso minori rispetto a quanto lavorato. E poi, soprattutto, il rispetto delle norme di sicurezza. «Quando sono venuti da noi, hanno raccontato una serie di cose incredibili», spiega a Linkiesta Emmanuele Monti, segretario generale Fit-Cisl di Mantova. Lavorando in una cella frigorifera, gli operai passano ore a -30 gradi, «eppure raccontavano di avere guanti bucati, scarpe rotte. A -30 gradi si rischia il congelamento. Nessuno, poi, avrebbe avuto l’elmetto. Le tute, spesso, venivano scambiate tra loro». Ma è solo l’inizio: «gli spazi, dicono, erano insufficienti, le uscite di sicurezza bloccate. Poi, le merci da stoccare sono allineate in scaffalature: alcuni pezzi sono molto in alto. Le file regolari dovrebbero essere due. Alla Primafrost, raccontano, sarebbero state di più. I macchinari a disposizione, poi, sarebbero insufficienti e spesso gli operatori si sarebbero dovuti arrampicare per prendere le merci imballate». Alcune sono leggere, come i gelati. Ma altre molto pesanti, come il pesce e le patate. Un pericolo. «Sì. Tanto è vero che, a giugno, un operaio è stato travolto da un bancale. È caduto e si è fratturato le vertebre: ha rischiato di restare paralizzato, ma ora è invalido». E, dopo l’incidente, è stato licenziato.

E le paghe? «Gli operai sono pagati a cottimo», spiega Monti. «Per ogni pezzo che muovono prendono circa 10 centesimi. Per questo motivo hanno solo interesse a essere veloci, così guadagnano di più». Ma in questo modo, sostiene, viene violato il contratto collettivo, che invece prevede ore di lavoro. «In busta paga, allora, trasformano il cottimo in ore, più diarie e trasferte. E spesso le ore conteggiate sono minori dei minimi contrattuali». In questo modo, conclude, «evadono le tasse: a fronte di 280 ore di lavoro svolte, ne vengono regolarizzate solo 140». La metà. «La cosa che più mi colpisce», sottolinea, «è che la Primafrost è un’azienda che va bene, che non è in crisi. Eppure non si preoccupa di intervenire sulle buste paga».

Di fronte alle proteste dei lavoratori, Monti ha cercato una trattativa con la Primafrost e con la Bbs, del gruppo Log-in Group, che è la cooperativa in carico dell’appalto dell’azienda, cui sono iscritti gli operai che lavorano in Primafrost. «Abbiamo cercato di trovare un accordo, e di sistemare le condizioni di lavoro degli operai», spiega. Ma dopo quattro mesi, però, l’accordo non si trova, la contrattazione salta e Primafrost tira diritto. E anche la Cisl.

Il sindacato denuncia l’azienda all’Ispettorato del lavoro, alla Asl e all’Inps. La Primafrost, allora (stando a quanto dicono gli operai) avrebbe minacciato di lasciare a casa gli operai con la tessera della Cisl: a breve, spiegavano, sarebbe arrivata una nuova cooperativa a sostituire la Bbs. Chi aveva la tessera Cisl non sarebbe stato riassunto. Alcuni cedono, riconsegnando la tessera, altri no. Sono in 19. «Questi ultimi, per ritorsione, hanno ricevuto solo turni da sei ore e mezza, di conseguenza con una paga bassissima», spiega Monti. Di fronte alle minacce, la Cisl fa un esposto in procura, mentre il 15 dicembre arrivano le ispezioni dell’Ispettorato e dell’Asl. Una battaglia che va avanti fino al 25 gennaio, quando i lavoratori decidono di denunciare la Primafrost per evasione fiscale. «Ma così avrebbero avuto problemi anche loro», dice Monti. «Hanno deciso che non contava: e si sono auto-denunciati per evasione fiscale, coinvolgendo la Primafrost». Il giorno dopo l’azienda li licenzia per giustificato motivo oggettivo: la Bbs è chiusa e la nuova cooperativa, l’Azzurra, non appare intenzionata ad assumerli.

Il caso coinvolge tutta la città: i lavoratori cominciano a fare proteste in piazza. Poi, volantinaggio di fronte ai supermercati LD, il cui proprietario è Lombardini, appunto, lo stesso della Primafrost. Ricevono la solidarietà del presidente della Provincia, che cerca anche di ricollocarli, e dei sindaci del mantovano. La Cisl scrive una lettera di denuncia al ministro del Lavoro Elsa Fornero, raccontando l’accaduto.

«Io ho subito anche minacce», racconta Monti. «Un’automobile ha preso fuoco di fronte a casa mia, incendiando la facciata. Non era un caso, secondo me. O almeno è molto difficile che lo fosse: il proprietario abitava dall’altra parte della città, e l’auto era proprio lì di fronte a casa mia». Chissà. Il legame con la Primafrost, però, non è per niente dimostrato. Intanto, l’8 febbraio l’Asl ha pubblicato i risultati della sua ispezione: «Gli operai della Primafrost sono in pericolo», recita il documento. E l’Asl chiede lo stop dei lavori, mentre la procura si sta interessando al caso.

Di fronte a tutto ciò, la Primafrost ha mantenuto il massimo silenzio. Non ha risposto ai giornalisti, non ha rilasciato dichiarazioni. L’azienda ha continuato i lavori, senza nessuno stop. Dopo lo scioglimento della Bbs, cooperativa che aveva sede a Bresso e che faceva capo a Enrico Cicconi, i lavori sono passati alla nuova cooperativa Azzurra. Che fa capo a Enrico Cicconi. Non è un’omonimia. Hanno cambiato nome, ma la dirigenza e la sede legale restano uguali, dicono.

Dietro a tutto questo, gli operai fanno sempre gli stessi nomi: sono i protagonisti. Elisa Savoia ed Enrico Cicconi. Poi, sopra di loro, Romano Freddi, il Commendatore. «Quello delle pizze surgelate», cioè presidente della Mantua Surgelati. Ma anche del Mantova calcio, fino al 2000. Poco amato dai tifosi, è famoso però per le sue Rolls Royce che parcheggia in divieto di sosta, per i due Rolex che indossa insieme. Ma anche per la nostalgia per l’Msi, per Almirante e per una concezione padronale dell’azienda che non ama perdere tempo con i sindacati. Quello che aveva detto, qualche anno fa, che non pagare le tasse era un «dovere morale».

In ogni caso, ora il bubbone è scoppiato. Ma nonostante il rapporto dell’Asl, che sembra dare ragione alla Cisl, la fiducia non è alta. «Se va bene, ce la caviamo con un risarcimento», spiega Monti. «Il mio obiettivo sarebbe di far reintegrare gli operai. Ma non nella cooperativa: nella Primafrost». Difficile, secondo lui. «Se si riesce, smetto di fumare», scherza.

Come lui, la vede anche Rogeiro, uno dei 19 operai licenziati a gennaio. «Il lavoro non era male. Era solo malgestito. Mancava la sicurezza e i pagamenti erano irregolari». Però «prendevo bene. Riuscivo a pagare il mutuo e mantenere mia moglie». Rogeiro è brasiliano, ha 28 anni ed è sposato da sei anni, con un bambino. Non era l’unico: dei 70 operai dell’azienda, almeno 40 venivano dal Brasile. Lui è uno di quelli che si è autodenunciato per evasione fiscale. «Non ho molte speranze», confessa. «Ma lo rifarei ancora. Ho fatto la cosa giusta?», si chiede. Medita per un poco, «La causa lo era senz’altro, ma ora sono senza lavoro».

E, infine, anche Alessandro Pongiluppi non è fiducioso. Lui è l’operaio rimasto infortunato dopo essere stato colpito dal bancale. «C’è mancato pochissimo: ho rischiato per tanto così» – stringe fortissimo l’indice e il pollice – di restare paralizzato». Una questione di millimetri, che hanno impedito alle sue vertebre del collo di rompersi. «A giugno ho avuto l’incidente. Sono scivolato, e mi è venuto addosso il bancale. Poi, a fine ottobre, l’operazione». A gennaio è stato licenziato, anche lui con l’arrivo della nuova cooperativa. «Mi sono rivolto al sindacato. Allora quelli della Primafrost mi hanno offerto un contratto, ma per me era troppo tardi».

Per lui è anche una questione di merito: «a me il lavoro piaceva, ero bravo. Pensa che in un mese sono riuscito a muovere 40.081 colli», racconta. Un record. Il suo sguardo al passato è orgoglioso. E il futuro? Che accadrà? «Non è la prima volta che ci sono guai per la Primafrost, e però non l’hanno mai chiusa», spiega. «Per fare qualcosa, qui ci vuole il morto».afferma. E, in una situazione di insicurezza come quella, sottolinea, può succedere da un momento all’altro. «Intanto, né le denunce né le ispezioni hanno mai fatto niente. Anche ora, lì dentro è tutto uguale. Sicurezza, elmetti, attrezzature. Tutto come prima». Non è vero: a quanto si dice, hanno sostituito i brasiliani con cingalesi ed egiziani. E poi, aggiunge Monti, la sicurezza sarebbe stata rimessa a posto. Si lavora solo su un piano (per il secondo solo con strumenti adatti) e sono stati ridotte le file. E si paga a ore.

Da ridere, come si diceva, c’è davvero poco. Le decisioni della procura, prima o poi arriveranno. Forse, questa volta, dopo aver fatto uscire il caso, qualcosa cambierà. Di sicuro, la Primafrost è pronta a difendersi anche in tribunale, ed è giusto anche questo. La Fit-Cisl, guidata da Monti, ci sarà. «I sindacati, a livello nazionale, fanno le loro politiche, spesso distanti dalla realtà, difficili da capire», spiega Monti. «Spetta a noi, che lavoriamo sul territorio, provvedere a far rispettare certe cose. Qualche volta, ce la facciamo anche».  

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