Concordia e gli altri: cosa si fa quando i mari si riempiono di inquinanti?

Concordia e gli altri: cosa si fa quando i mari si riempiono di inquinanti?

Fusti, bidoni tossici e carburante, fino ad arrivare alle più note immagini delle maree nere. La Costa Concordia ha riaperto il tema degli sversamenti in mare, che siano arenamenti, incendi o esplosioni. Ma dietro alla Concordia, caso eclatante e sui generis per altri motivi, vi sono tutte quelle navi cargo, deputate proprio al trasporto merci, che possono provocare danni ingenti all’ambiente. Il 17 dicembre scorso è passato quasi in sordina il rilascio a 23 chilometri da Livorno di 198 bidoni contenenti sostanze chimiche inquinanti (nichel e molibdeno) dall’Eurocargo Venezia della Grimaldi Lines. E ancora più recente, del 10 marzo, è l’incidente che ha visto come protagonista la petroliera Gelso, incagliatasi nei pressi di Siracusa, fortunatamente vuota, ma piena di carburante.

Oltre a questi episodi, la storia degli sversamenti è ricca e complessa, come dimostra il rapporto presentato a novembre del 2011 dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra). L’analisi riassuntiva dell’Ispra prende in considerazione l’impatto degli sversamenti di greggio sugli ecosistemi, la normativa, e i dati desunti dalla banca dati mondiale dell’Itopf (The International Tanker Owners Pollution Federation Limited) e da quella per il solo Mediterraneo del Rempec (The Regional Marine Pollution Emergency Response Centre for the Mediterranean Sea).

Nonostante la casualità, si vede a colpo d’occhio che gli incidenti per numero e quantità di sostanze sversate diminuiscono nel corso del tempo. Inoltre, all’interno di una decade, la percentuale maggiore di greggio sversato è da imputare a pochi incidenti rispetto al totale, mentre molti incidenti contribuiscono con “poche” centinaia (o migliaia) di tonnellate (per i più “matematici” ricordiamo che si tratta di una distribuzione teorizzata nella legge di Zipf). Le cause principali, rilevate dall’Itopf, sono collegate a errori nelle operazioni di carico e scarico in caso di sversamenti minori, mentre arenamenti, collisioni, rotture dello scafo, incendi ed esplosioni determinano incidenti con un più consistente rilascio di inquinanti.

Numero di sversamenti e tnnnellate sversate per decennio

Numero di tonnellate sversate nel Mediterraneo 

Tratte principali del del trasporto nel Mediterraneo

Venti incidenti più gravi nel mondo

Per completare il quadro, Linkiesta ha chiesto a Marco Faticanti, tecnologo del settore progetti aree portuali dell’Ispra di approfondire e chiarire alcuni aspetti del rischio di sversamenti: quali sono le azioni preventive, come si pianifica un recupero delle sostanze pericolose e come agisce l’ente italiano, ricordando che l’Italia, a causa dell’importanza dei suoi traffici, si colloca ai primi posti tra gli Stati del bacino mediterraneo per numero di sversamenti. Faticanti sottolinea quanto sia difficile avere dati precisi sulle quantità di inquinanti coinvolti nei vari incidenti, e come addirittura diverse fonti possano dare risultati differenti, per questo lo stesso Itopf «raccomanda sempre una certa cautela nella lettura e nell’interpretazione dei dati e delle figure per quanto riguarda gli incidenti occorsi negli anni ’70».

Faticanti, dopo uno sversamento, come ci si comporta?
Alcuni modelli matematici possono essere importanti strumenti di aiuto nella previsione del modo in cui le chiazze di petrolio sversato evolvono nel tempo. È importante notare che i modelli richiedono un buon numero di variabili che devono essere inserite nel programma, come caratteristiche chimico-fisiche del petrolio sversato, condizioni meteo, correnti marine ecc… Queste variabili, come tali sono spesso difficili da reperire in tempi brevi o possono cambiare repentinamente in breve tempo (ed es. la velocità e direzione del vento). Pertanto, l’affidabilità delle previsioni va interpretata con molta attenzione.

Come si recuperano le sostanze inquinanti?
È necessario disporre innanzitutto di navi e strutture idonee per il recupero degli inquinanti sversati. L’European Marittime Safety Agency (EMSA) si è dotata nel tempo di una flotta di 15 navi dislocate nei mari che bagnano le coste dell’UE. In Italia, è stata rinnovata la convenzione tra Ministero dell’Ambiente e Castalia per il monitoraggio e la tutela del mare. Per quanto riguarda le specifiche modalità di intervento da utilizzare in mare il Ministero dell’Ambiente ha approvato il “Manuale delle procedure operative in materia di tutela e difesa dell’ambiente marino e per gli interventi di emergenza in mare” che è indirizzato alle Autorità marittime e contiene le indicazioni sulle misure da adottare per prevenire, eliminare o attenuare gli effetti di eventi inquinanti. Inoltre, alcune tipologie di intervento sono riportate anche nelle linee guida dell’Epa (Environmental Protection Agency) in cui ad ogni azione viene associata una breve descrizione, la tipologia di habitat dove l’intervento è consigliato, i vincoli biologici, l’impatto sull’ambiente ecc..

Qual è, se esiste una classifica, la sostanza più pericolosa per l’ecosistema e quali conseguenze può dare?
Non si può definire a priori una sostanza più pericolosa di un’altra. Va fatta una valutazione del rischio che tenga conto di numerosi parametri come composizione e proprietà chimico-fisiche della sostanza, esposizione degli organismi viventi, caratteristiche degli ecosistemi coinvolti.
Alcune sostanze che sono contenute nei prodotti petroliferi sversati hanno un’elevata volatilità. Ciò significa che evaporano molto facilmente (in particolar modo se la temperatura è alta) e vengono disperse nell’atmosfera piuttosto che nell’acqua. La composizione del greggio sversato viene a modificarsi nel tempo ad opera di una serie di fenomeni fisico-chimici che si innescano rapidamente e che portano, ad esempio, alla formazione di emulsioni.

Nel caso particolare della Costa Concordia, quali sono le caratteristiche delle sostanze coinvolte e quali i possibili modelli per il recupero?
Le operazioni prioritarie che sono state avviate sul relitto della Concordia hanno riguardato il recupero di carburante presente nelle cisterne e che, se fuoriuscito, avrebbe potuto causare seri danni ambientali all’arcipelago toscano. Nei serbatoi sono contenute circa 2.400 tonnellate (2.280 tonnellate di combustibile, denso e vischioso e ad elevato tenore di zolfo, e 42 metri cubi di olio lubrificante). E’ necessario tener conto anche delle altre sostanze pericolose presenti sulla nave che sono contemplate, comunque, nel Piano di Monitoraggio della qualità ambientale per l’emergenza della Concordia. 

Quali sono i motivi che determinano una diminuzione degli incidenti e delle tonnellate di inquinanti sversate nel tempo?
La diminuzione degli incidenti e della quantità di greggio sversata va ricondotta a più cause. La normativa internazionale ha imposto la costruzione di navi più sicure (doppio scafo) e il conseguente rinnovamento della flotta mondiale che ha portato a una drastica diminuzione delle “carrette del mare” in circolazione. A ciò si aggiunga l’introduzione di un’attività di controllo più serrata sulle società di certificazione e sulla conformità delle navi (PSC) alle norme adottate a livello internazionale in materia di sicurezza, prevenzione dell’inquinamento e condizioni di vita e di lavoro a bordo. Nonostante tali iniziative abbiano sortito buoni risultati, è necessario intervenire ancora su altri aspetti quali ad esempio la formazione dei marittimi. L’Emsa riporta che la maggior parte degli incidenti avviene a seguito di errori umani. Risulta indispensabile verificare la qualità e la validità della formazione del personale a bordo di ogni tipologia di nave.

Cosa si può fare per prevenire incidenti e sversamenti?
Recentemente, il gigantismo navale ha portato alla costruzione di navi per il trasporto merci e passeggeri sempre più grandi che hanno necessità di grandi quantità di combustibile per la trazione marittima. Tali navi sono a tutti gli effetti delle piccole navi cisterna a cui andrebbero estesi tutti gli obblighi in materia di safety e security adottati per le navi cisterna vere e proprie.

Con quali tecnologie (batteri mangia idrocarburi ecc…) si può invece migliorare il recupero?
La ricerca scientifica ha fatto progressi anche in questo campo, tuttavia ogni nuovo prodotto (assorbente non inerte o disperdente) da impiegare in mare per la bonifica dalla contaminazione da idrocarburi petroliferi, prima di essere utilizzato sul campo, deve ottenere il riconoscimento dell’idoneità tecnica.

Incidente con sversamento in Norvegia

Qualche osservazione sull’età delle navi
I dati REMPEC mostrano come la maggior parte delle navi coinvolte in sversamenti di idrocarburi o sostanze nocive e pericolose ricade nella fascia di età compresa fra i 16 e 25 anni. Non ci sono motivi particolari che possano spiegare tale risultato, anche se altre fonti (EMSA) mostrano come all’aumentare dell’età aumentino anche i rischi di incidentalità per le navi. Infatti, l’anzianità di una nave associata ad altri fattori quali la cattiva manutenzione e l’inesperienza dei marittimi diventa un importante fattore di rischio che deve essere valutato. L’età media delle navi coinvolte in incidenti comincia ad abbassarsi nel biennio 2009-2010, perché il 2010 ha rappresentato il limite temporale stabilito nel calendario dell’International Marittime Organization (IMO) in merito allo smantellamento delle cisterne mono scafo. Dal 2010 molte vecchie navi sono state dismesse causando inevitabilmente un ringiovanimento della flotta mondiale.

Il ruolo dell’Ispra
In ISPRA, a seguito della fusione fra APAT (Agenzia di Protezione dell’Ambiente e servizi Tecnici), ICRAM (Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica Applicata al Mare) e INFS (Istituto Nazionale di Fauna Selavtica), è presente un settore per le emergenze ambientali. Il collega Luigi Alcaro fa parte del settore ed è membro del comitato tecnico-scientifico che riferisce al Commissario Straordinario i pareri sulle opportunità degli interventi sul relitto della Concordia.
Sempre in tale ambito, a seguito di un accordo di collaborazione tra l’Agenzia per la Protezione Ambientale della Toscana ed ISPRA, il monitoraggio ambientale delle acque dell’isola del Giglio, è stato realizzato, per un periodo di due settimane, dal battello Astrea di ISPRA. ARPAT e ISPRA hanno condiviso un piano di monitoraggio in via di formalizzazione che prevede l’elaborazione di indagini per valutare l’ampiezza degli impatti dell’inquinamento accidentale arrecato eventualmente all’ecosistema marino dell’area.