Ecco come tagliare la spesa pubblica fino al 3% del Pil

Ecco come tagliare la spesa pubblica fino al 3% del Pil

Giusto una settimana fa avevo concluso la prima metà di queste riflessioni avvertendo che, se non si fa uno sforzo straordinario di vendita di proprietà pubblica per abbatterlo, lo stock di debito finirà per farci sistematicamente molto danno attraverso il costo soverchio che alti tassi reali d’interesse generano. Neanche a farlo apposta, nel giro di pochi giorni lo spread fra il nostro debito e quello tedesco ha ricominciato a crescere comprovando che non parlavo del tutto a vanvera. Questo non grazie a mie supposte capacità divinatorie (quelle ce le ha solo Nouriel Roubini…) ma perché la realtà dei fatti quella è: prima vi togliete le fette di salame dagli occhi meglio è per voi tutti, cari compatrioti fiscalmente residenti nel Bel Paese. Qualche anima bellasifaperdire ha immediatamente osservato (lo fanno da vent’anni, da quando Draghi privatizzò qualcosetta) che vendere oggi vuol dire svendere e che sarebbe meglio aspettare. Gigantesca cazzata, pardon my French, per due banalissime ragioni.

Anzitutto: continuare a vivere sotto la spada di Damocle di un costo del debito che può andar fuori controllo al primo stormir di spese è molto più dannoso, per il sistema economico nazionale, dell’idea di perdere alcuni, molto ipotetici, guadagni futuri. Solo persone incapaci d’intendere il funzionamento dei sistemi economici possono fantasticare che la tassazione aggiuntiva che un aumento dello spread implica, assieme all’effetto credit crunch che la continua sottovalutazione del nostro debito pubblico genera via banche, sia paragonabile alle presunte perdite da “svendita”. In secondo luogo, va ricordato a queste anime bellesifarperdire che vendere attraverso trattativa privata il pacchetto di controllo di Eni o Unicredit non implica venderlo alle quotazioni di borsa attuali. Il pacchetto di controllo d’una azienda di grandi potenzialità ma mal gestita (come, per dire, Trenitalia platealmente è) vale svariate volte la sua quotazione di borsa. In Spagna stanno facendo piani seri per vendere non solo gli aeroporti, che Iberia già è privata, ma persino Renfe e Bankia. Il governo Monti ha appena creato la Banca del Sud… Se si forzassero le fondazioni a vendere i pacchetti di controllo delle grandi banche italiane, non solo i politici gestori delle medesime recupererebbero un po’ del patrimonio pubblico che hanno gettato al vento malgestendo quelle medesime banche negli ultimi 15 anni, ma potrebbero, finalmente, avere una dotazione decente che permetterebbe loro di fare ciò per cui sono state create. Che NON consiste in gestire MPS e Banca Intesa ma fare beneficienza: cosa utile e che permetterebbe a molti enti locali di non aumentare le imposte per finanziare alcuni servizi.

Per continuare partiamo dall’opportuna intervista del ministro Piero Giarda su La Stampa, intervista che sembra quasi organizzata dal sottoscritto con la finalità di poter affermare: ve l’avevo detto che non intendono tagliare nulla! Ad essa risponde la simpatica (a me) Emma Marcegaglia, continuando a chiedere (giustamente) di ridurre le imposte sulle imprese e continuando a non dire (impropriamente) che spese tagliare per poterlo fare. Emma, deciditi a parlare esplicito almeno ora che sei libera di farlo: per ogni riduzione d’imposta serve una riduzione di spesa, quali suggerisci? Io ci provo.

Siccome i simboli contano ed al popolo tassato a sangue occorre anche dare giustizia e non solo promesse, tagliare i costi della casta politico-burocratica è assolutamente necessario, prioritario e possibile. Vi sono in Italia circa 50mila persone, dal segretario comunale di Abbiategrasso al Presidente della Repubblica passando per il capo della polizia di stato ed il presidente della municipalizzata di casa vostra, che costano (in stipendi e benefici materiali) tra il triplo ed il quintuplo (ho scritto giusto: dal 300% al 500%) di quanto i loro analoghi costino in paesi, come la Spagna, che hanno una struttura istituzionale simile alla nostra ed un reddito per capita identico al nostro. Ho fatto due conti non del tutto inventati e sono fra i 5 ed i 7 miliardi di euro all’anno. Sono, di fatto, costi della politica e non ho incluso il finanziamento illegale ai partiti noto come “rimborsi elettorali”. Non è tanto, ma messi assieme fanno lo 0,5-0,6% del PIL di spese (ossia tasse) in meno. Qualche impresa ringrazierebbe.

Scendiamo di un gradino nella scala gerarchica e parliamo degli stipendi pubblici. Dice bene Piero Giarda: da due anni, salvo promozioni interne, non sono aumentati. Ma erano aumentati moltissimo prima (leggere relazioni Banca d’Italia) e nel frattempo sono diminuiti sia i redditi degli italiani nel privato che quelli dei dipendenti pubblici nei paesi che si son trovati a fare i conti con una crisi fiscale. Detto altrimenti, caro Piero, abbi il coraggio che i tuoi colleghi in Spagna, Inghilterra e California hanno avuto: taglia (non linearmente ma progressivamente) gli stipendi pubblici in modo tale da riallinearli, in % di quelli del settore privato, al livello del 1995. Ho fatto due conti a spanne, ed è un altro 0,8-0,9% del PIL. Poca roba? Forse, ma siamo già ad una riduzione d’imposte dell’1,3-1,5% del PIL.

Per evitare che Emma si illuda che io lavori per lei, occupiamoci di sussidi alle imprese. Siccome è tema trito e ritrito non lo elaboro. Sono una ventina di miliardi e, come il lettore attento noterà, sparirebbero quasi tutti se si decidesse di vendere ciò che ho suggerito la settimana scorsa di vendere. Due piccioni con una fava: qualcuno osa immaginarsi perché mai Passera e Monti non abbiano proposto la fava? Suggerimento: pensate al signor Belsito ed a cosa faceva (fa) oltre che amministrare i soldi della Lega. Roma è piena di Belsito che tengono famiglia, vasta assai. In ogni caso, se si facesse sarebbe un altro 1,2-1,5% del PIL di spese, e tasse, in meno. Siamo gia vicini al 3,0% e son parecchie le imprese ad essere contente.

Mi fermo qui, rendendomi conto che ho bisogno della terza puntata per finire il ragionamento con i veri tre pezzi da novanta (nord/sud, pensioni, produttività pubblica). Ma il punto dovrebbe già essere evidente: è la somma – cari Monti, Giarda e, perché no, Grilli – che fa il totale. Basta voler sommare.