Aggiornamento a giovedì 19 aprile h. 19:30. La Gdf ha sequestrato il 20% di Premafin, la holding che controlla Fondiaria Sai, intestato ai due trust esteri, Ever Green e The Heritage. L’indagine della Procura di Milano, secondo quanto si legge in una nota del Comando provinciale di Milano della Guardia di Finanza, «ha permesso di riscontrare che il valore del predetto titolo sarebbe stato oggetto di manipolazione per il tramite delle partecipazioni detenute da enti controllati dai citati trust, provocandone una sensibile alterazione del prezzo delle azioni». La Consob ha rilevato che nel periodo compreso fra il 2 novembre 2009 e il 16 settembre 2010 le società che fanno capo a questi due trust hanno comprato azioni Premafin tutti i giorni, in chiusura di Borsa. Secondo la Consob i due trust sarebbero riconducibili ai Ligresti, ma la famiglia ha diffidato chiunque dall’attribuirle la proprietà delle azioni, ribadendo di essere titolare solo del 51,3% della holding. Salvatore Ligresti è ora indagato per aggiotaggio in concorso con Giancarlo De Filippo, fiduciario di Ever Green, ed era già iscritto fra gli indagati per ostacolo alle attività di vigilanza per non avere fornito sufficiente collaborazione nell’identificazione dei beneficiari ultimi dei trust.
Non sappiamo quali saranno le ricadute della richiesta di fallimento avanzata dalla Procura di Milano per Imco e Sinergia, le due società non quotate a monte della filiera Ligresti. Non è ancora chiaro, cioè, se si tratta di un’accelerazione tecnica dei magistrati verso una procedura di ristrutturazione del debito omologata dai giudici, o se invece è una piccola palla di neve che rotolando si trasformerà in una valanga capace di travolgere l’operazione Unipol-Fonsai congegnata da Mediobanca e Unicredit, i due principali creditori del gruppo Ligresti.
Sappiamo, però, due cose. La prima è che quest’ultima eventualità è vista come peste dalle banche creditrici. Il loro interesse è che si consideri come un tutt’uno inscindibile la catena societaria dei Ligresti, dalle holding Sinergia, Imco e Premafin, che si trovano in stato tecnico di dissesto (=l’attivo vale meno dei debiti), alla compagnia assicurativa Fondiaria Sai, che stando quel che si conosce non è invece in stato fallimentare, ma ha tuttavia bisogno di rafforzare il proprio patrimonio per 1,1 miliardi. La convergenza fra i banchieri che hanno affidato i Ligresti per circa 2,5 miliardi e Unipol ha una chiara logica: tutela dei crediti verso le holding in cambio della “consegna” del gruppo a prezzi d’occasione. Un curioso caso di omeopatia aziendale in cui la causa del male – il legame incestuoso fra una compagnia assicurativa e le problematiche dei soci di controllo – viene riproposta come cura del male che ha causato.
Sappiamo, poi, come ha reagito ieri il mercato alla notizia della richiesta di fallimento per Imco e Sinergia: con un tripudio, scattato non appena si è diffusa la notizia. Vero è che la giornata era buona per tutto il mercato. Ma fra il 3,7% dell’indice principale di Piazza Affari, il 23% guadagnato da Unipol e il 39% di FonSai corre una bella differenza. E vorrà pur dire qualcosa, anche alla luce delle condizioni dell’aggregazione imposte da Unipol Gruppo Finanziario, che chiede di avere il 66,7% dell’entità che nascerà dalla fusione fra la controllata Unipol Assicurazioni e Premafin-FonSai-Milano.
Di solito, l’intervento dei magistrati sulle vicende societarie di imprese quotate non è visto di buon occhio dagli investitori, che preferiscono che le sorti di un’operazione siano decise sul mercato. Ma questo non è il caso di Unipol-FonSai, progetto che poggia esplicitamente sulla sospensione delle regole del mercato e dell’Opa in particolare. Perciò, l’intervento della magistratura è percepito come market friendly: così verrebbe scardinato un disegno che scarica sulle spalle di Fondiaria e degli azionisti di minoranza il peso di tutto il dissesto del gruppo. Se da Sinergia e Imco, la Procura andasse avanti anche su Premafin, allora bisognerebbe riaprire i giochi e individuare, con una procedura competitiva, una soluzione di mercato per il pacchetto del 36% di FonSai in pancia alla holding. I soggetti interessati non mancherebbero ma finora sono stati tenuti a distanza: Axa, Sator e Palladio e altri fondi di private equity. Ma anche la filiale assicurativa londinese del gruppo Berkshire Hathaway di Warren Buffett: «Non gli è stata data la possibilità di instaurare un discorso», riferisce a Linkiesta un top manager della stessa Fondiaria.
La sensazione è che si stia seguendo un copione già scritto, forse prima ancora che, alla fine dallo scorso dicembre, comparisse il nome di Unipol. Uno snodo fondamentale di tutta la vicenda è stato il patto stipulato fra Unicredit e la Premafin Ligresti per il controllo di FonSai nella primavera 2011. Piazza Cordusio accettò di partecipare all’aumento di capitale della compagnia impegnando circa 60 milioni per avere il 6,7%, ma comprò i diritti di opzione a prezzi spropositati (110 milioni). Un regalo per consentire alla holding dei Ligresti di prendere tempo, mantenendo il controllo di FonSai. Illuminante, al riguardo, la domanda rivolta dal consigliere Manfred Bischoff all’amministratore delegato Federico Ghizzoni: «Ma Mediobanca che cosa ci dà in cambio per questo favore che le facciamo?». L’operazione era sottosposta alla procedura speciale prevista dall’articolo 136 del Testo unico bancario, causa la presenza nel cda della banca di Salvatore Ligresti: serviva quindi un voto unanime favorevole degli amministratori e dei sindaci. Si disse che ci fu l’unanimità. In realtà, dopo infuocate discussioni di cui dovrebbe essere rimasta traccia nei verbali, diversi consiglieri si astennero, alcuni anche per rispettare i paletti messi dall’Antitrust al tempo della fusione Unicredit-Capitalia. Secondo quanto Linkiesta ha appreso da fonti vicine al cda, non parteciparono alla votazione il presidente Dieter Rampl, il vice Fabrizio Palenzona e i consiglieri Pesenti, Maramotti e Cucchiani. Unicredit non ha voluto commentare. Non va dimenticato, inoltre, che pochi mesi dopo Piergiorgio Peluso, il dirigente di Piazza Cordusio che aveva sempre gestito il rapporto creditizio con i Ligresti, è passato a fare il direttore generale di Fondiaria Sai.
Il risultato è che Fondiaria Sai resta impossibilitata a fare scelte nell’interesse di tutti i suoi azionisti: prima subordinata agli interessi dei suoi soci di controllo, ora a quelle dei creditori dei suoi azionisti di controllo. Finora tutto l’apparato di sorveglianza – consiglieri indipendenti, sindaci, revisori, Isvap – ha sempre mancato l’obiettivo. E il paradosso è che oggi toccherà proprio agli amministratori indipendenti – Roberto Cappelli, Valentina Marocco, Enzo Mei, Salvatore Militello – decidere se le condizioni proposte da Unipol siano nell’interesse della compagnia. La procedura di Fondiaria per la gestione delle operazioni con parti correlate affida l’ultima parola ai consiglieri indipendenti e, in subordine, ai sindaci: il loro parere è cioè vincolante. Il consulente degli amministratori indipendenti, la banca americana Citi, e quello dell’intero cda, Goldman Sachs, hanno dato indicazioni distanti da quelle pretese da Unipol. Sulla reale indipendenza dei quattro “indipendenti” sono stati inoltre sollevati parecchi dubbi, alla luce dei rapporti passati o attuali. Basta per tutti il caso di Valentina Marocco: figlia di un consigliere di Unicredit e di una storica ex amministratrice di Sai e poi di FonSai. Insomma, nel complesso mancano le condizioni di base perché siano rispettati i diritti di tutti gli azionisti e perché si trovi la soluzione migliore nell’interesse della compagnia assicurativa.
La scommessa degli investitori è che l’intervento del pm Orsi su Imco e Sinergia possa creare la pressione ambientale giusta sul cda di di FonSai e di Milano Assicurazioni e sui loro consulenti. Questo potrebbe portare la compagnia a optare per soluzioni di mercato e competitive. L’obiezione che, senza l’accordo con Unipol, il consorzio di banche guidato da Mediobanca si rifiuterebbe di garantire l’aumento di capitale non sta in piedi. Se c’è una banca che ha un interesse oggettivo e impellente a che l’aumento vada in porto – con o senza Unipol – è proprio Mediobanca, esposta con prestiti subordinati per 1,1 miliardi. Le altre banche internazionali avrebbero gioco facile a vendere sul mercato una turnaround story con una potenziale contesa per il controllo nel medio periodo. Ma la pressione ambientale non sarà sufficiente se la Procura rimarrà concentrata solo sulle holding non quotate e sul passato, mentre il presente corre su binari tracciati al di fuori del cda di Fondiaria Sai e a vantaggio solo di alcuni degli azionisti e dei loro creditori.
Twitter: @lorenzodilena