In occasione di un recente seminario a Bruxelles, il presidente e amministratore delegato di Volvo Car Corporation, il tedesco Stefan Jacoby, ha dichiarato che in assenza di «incentivi armonizzati a favore dei consumatori» l’Europa potrebbe mancare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 stabiliti dagli organi comunitari, che intendono tagliarle del 60% entro il 2050 ed eliminare addirittura dai centri urbani le vetture alimentate con carburanti tradizionali.
Jacoby ha affermato di ritenere «fondamentale» l’erogazione di aiuti alle attività di ricerca e sviluppo al settore dell’auto, compresi quelli per la mobilità elettrica. Infine, ha sostenuto che «l’approccio della Commissione Europea nei confronti dell’elettrificazione dei veicoli potrebbe rappresentare una minaccia per i posti di lavoro, gli investimenti e la competitività per l’industria automobilistica europea, che si trova ad affrontare una sfida molto difficile nel momento in cui le legislazioni che regolamentano le emissioni di CO2 e richiedono l’introduzione di auto elettriche vengono implementate senza iniziative di supporto che rendano queste vetture più accessibili a un numero crescente di consumatori».
Secondo le previsioni di Jacoby, la quota di mercato dei veicoli elettrici supererà di poco l’1% entro il 2020 e gli sforzi dell’industria automobilistica per ridurne i costi non riescono a compensare interamente quelli relativi ai sistemi a batteria. Insomma, il capo di Volvo vorrebbe incentivi di due tipologie diverse: quelli erogati direttamente ai consumatori e quelli destinati in particolare allo sviluppo di tecnologie utili ad abbattere i costi della mobilità elettrica. Il pensiero del manager tedesco, però, è di segno diametralmente opposto a quello dell’amministratore delegato Fiat, Sergio Marchionne, il quale, riferendosi al mercato italiano, ha recentemente affermato di non volere assolutamente e di non aver bisogno di alcun incentivo statale.
In realtà gli incentivi del primo tipo, cioè quelli erogati a chi acquista un’auto sotto forma di sconto tramite la casa automobilistica e il concessionario, sono sostanzialmente dannosi per il mercato, poiché non fanno altro che anticipare gli acquisti alimentando artificiosamente una richiesta supplementare di auto da parte di una clientela che senza aiuti statali non le comprerebbe. E che le cose stiano in effetti così è dimostrato dalla crisi drammatica in cui è precipitato il mercato italiano e, per certi versi, anche quello europeo che, almeno in alcuni Paesi, ha goduto di questi sostegni. L’Italia, oltre all’impatto di una situazione economica tutt’altro che stabilizzata, sconta oggi proprio la fine degli incentivi, al termine dei quali, nel 2010, la domanda di auto nuove ha cominciato a riavvicinarsi ai livelli fisiologici precedenti e oggi langue. Inoltre, se erogati con modalità come quelle messe in atto in Italia nel triennio 2008-2010, che prevedevano l’elargizione incondizionata di una certa somma senza che costruttori e reti di vendita fossero obbligati a offrirne ai clienti una almeno identica sotto forma di sconto, gli incentivi non servono affatto a supportare la ricerca tecnologica finalizzata a migliorare l’efficienza dei veicoli, ma solo a raddrizzare i conti delle case automobilistiche e dei concessionari.
Insomma, in passato, quando sono arrivati gli incentivi statali, le case e le reti di vendita hanno abbassato gli sconti rimpinguando i bilanci ed è quasi certo che il copione si ripeterebbe con una nuova tornata di aiuti governativi erogati con le stesse modalità. Diverso, invece, il discorso delle sovvenzioni per le attività di ricerca e sviluppo, sia quelle utili a ridurre i consumi dei motori termici, sia quelle destinate a sostenere i costi per creare le infrastrutture di ricarica, sia quelle per lo sviluppo dei veicoli a batteria. Queste sovvenzioni potrebbero essere viste con favore, ma a patto che da parte di chi le eroga ci sia un ferreo controllo sul loro reale utilizzo, tale da accertare che il denaro pubblico finisca davvero in queste attività e non nel risanamento dei bilanci dei costruttori o nel sostegno a una rete di vendita sovradimensionata rispetto alle auto che i mercati possono e potranno assorbire.