Buenos Aires. Nacho ha 40 anni e come ogni mattina ha preso il treno per andare a lavorare. Un signore anziano, vestito da veterano di guerra, vende a due pesos braccialetti con i colori della bandiera e la scritta “Malvinas Argentinas”, accompagnati da una raccomandazione: «va portato con orgoglio», dice, accarezzandosi l’uniforme prima di cedere la parola a Nacho, che racconta il suo ricordo della guerra delle isole Malvinas, o Falkland, per gli inglesi. Ricorda quando aveva 9 anni e a scuola, durante la ricreazione, cantava:«Thatcher, vecchia avariata, quest’estate non potrai andare alle Malvinas, né alla Georgia del Sud né alle altre, sono argentine per diritto nazionale». Poi di nuovo in classe, dove venivano fatte scrivere ai ragazzi lettere per i soldati, che spesso però non arrivarono a destinazione. A volte ripensa ai testi che ancora ricorda, alla propaganda militare che veniva fatta a tutti i livelli convincendo le persone a donare beni per un fondo patriottico, e a come tutto fosse trasmesso ininterrottamente alla televisione.
Oggi è il 30° anniversario del conflitto per la sovranità sull’arcipelago dell’Atlantico del Sud e l’Argentina da giorni si prepara organizzando manifestazioni in tutto il paese. La presidente Cristina Kirchner parlerà dalla città più a sud del mondo, Ushuaia, alle 12 (le 17 italiane) in diretta dalla Piazza Isole Malvinas e alla presenza di molti ex soldati. A Buenos Aires ci sarà una marcia che terminerà sotto l’ambasciata inglese. In tanti non hanno approfittato del fine settimana lungo e sono rimasti in città per partecipare alle commemorazioni. Sulla saracinesca del bar Malvinas Argentinas c’è un cartello che dice che il locale resterà chiuso nel “Día del Veterano de Guerra y los Caídos en Malvinas”, giornata del veterano di Guerra e dei caduti, in segno di rispetto.
Era il 1982, la dittatura militare argentina cominciava a scricchiolare, e il riscatto dell’arcipelago delle Malvinas, occupate dall’Inghilterra nel 1833, sembrò al Capo della giunta militare Leopoldo Galtieri un’ottima occasione per fare del patriottismo un’arma di riconquista del popolo argentino. Pochi giorni dopo l’invasione, le navi inglesi partirono per i mari del sud. La guerra causò la morte di circa mille soldati, di cui più di due terzi argentini e screditò il governo di Galtieri che fu costretto a dimettersi favorendo così, nel 1983, il ritorno alla democrazia nel paese sudamericano. La Thatcher, invece, fu aiutata nella rielezione proprio grazie alla riconquista delle isole.
Da allora, la Guerra delle Malvinas è uno dei temi più sentiti dal popolo argentino. Negli ultimi mesi, poi, il caso Malvinas-Falkland è stato uno dei protagonisti assoluti della politica interna e internazionale, con l’aumento della tensione diplomatica tra Londra e la Casa Rosada a causa delle rivendicazioni di sovranità sulle isole e dell’annuncio da parte del governo inglese dell’invio di importanti funzionari pubblici nell’arcipelago. La questione Falkland/Malvinas è arrivata persino al mondo del calcio, con attriti tra la Fifa e la federazione calcio Argentina (Afa) riguardo alla possibilità che il torneo locale “clausura” venisse rinominato “Crucero General Belgrano” (al posto di Néstor Kirchner – Copa Malvinas Argentinas), dal nome della nave da guerra affondata dalle forze britanniche in cui morirono più di 300 soldati argentini. E sebbene il tema sia di grande interesse interno e internazionale, l’eccessiva concentrazione del discorso argentino sull’argomento fa presupporre un tentativo di spostare l’attenzione del pubblico dagli altri temi caldi di politica interna.
Uno di questi riguarda certamente la manovra di taglio che la Casa Rosada sta mettendo in atto per preparare il paese ad affrontare la crisi internazionale. A questa si aggiungono, come parte dello stesso disegno, le restrizioni alle importazioni che mirano a favorire la produzione argentina ma stanno mettendo in difficoltà le industrie che hanno bisogno di acquistare semilavorati all’estero per mantenere la propria produzione. Il protezionismo indiscriminato sta anche mettendo in discussione l’effettivo funzionamento del Mercosur, ridotto a un mero accordo al quale spesso non fa seguito il mantenimento degli impegni presi sulla carta. Gli imprenditori argentini raggruppati nell’Uia – la Confindustria locale – si sono finora mossi con cautela rispetto alle barriere commerciali, soprattutto per onorare la scelta di mantenere una posizione più morbida nei confronti del governo, che viene ricambiata con l’accesso di vari membri dell’associazione in importanti incarichi governativi. La presidente Cristina Kirchner continua a godere di un grande appoggio, sebbene negli ultimi sondaggi sembra abbia perso un po’ di popolarità tra i cittadini, forse anche a causa delle vicende giudiziare che coinvolgono il vice presidente Amado Boudou, accusato di conflitto d’interessi, e dell’aumento del 100% degli stipendi dei parlamentari approvato a febbraio. Uno scandalo sotto diversi punti di vista, dato che nel paese una grande fetta della popolazione vive al di sotto il livello di povertà, lo stipendio minimo è di 2000 pesos (circa 340 euro) e l’aumento è stato approvato proprio poco prima dell’inizio dei negoziati per i contratti salariali 2012.
Di certo il governo dei Kirchner, Néstor prima e Cristina poi, ha fatto dei diritti umani e del riconoscimento degli avvenimenti chiave per il popolo argentino un punto di forza del proprio governo. E, bisogna riconoscerlo, non ha mai mancato una promessa elettorale in questo ambito. L’Argentina si sente, da un lato, di nuovo protetta. E ascoltata. «Non possiamo negare la rilevanza che il Governo nazionale ha dato alla causa del Malvinas negli ultimi anni – ha affermato il presidente del Centro dei Veterani, Horacio Chávez, durante la veglia che da 30 anni viene fatta in attesa del 2 aprile -, come ha detto la Presidente, la causa delle Malvinas non è più solo una causa nazionale ma si è convertita in una causa Latinoamericana».