La mentalità italica impone che io, da terrone, debba gioire per quel che sta accadendo nella Lega Nord. Dovrei accodarmi, senza nemmeno indugiare per un istante, al coro di clacson che salutano la cacciata dei “ladri”, di coloro i quali si sono appropriati dei nostri soldi nel modo più subdolo possibile: al grido di “Roma ladrona”. Da meridionale non ho scelta. A me, nei secoli terrone, la storia patria (più corretto sarebbe dire la storia giudiziaria) sta offrendo un’occasione unica per riscattarmi da anni e anni di lezioncine etiche e non solo.
Io però non riesco a leggerla così questa vicenda. E, soprattutto, quel che mi colpisce è l’immobilismo italiano. Un Paese che nulla apprende dall’esperienza e reagisce come se nulla fosse mai accaduto. Come se mai ci fosse stata una rilettura sul 1992, sulle monetine al Raphael e sulla fine politica di Bettino Craxi. Come se nessuno avesse compreso che è da quelle monetine, e da chi – la stragrande maggioranza – quelle monetine non le tollerarono e non le compresero, che nacque un partito politico di nome Forza Italia.
No, l’Italia, una certa Italia, non cambierà mai. Ha chiuso gli occhi per diciassette anni, non volendo guardare che cosa avesse mai potuto consentire a Silvio Berlusconi e Umberto Bossi di vincere tre elezioni su cinque, e di fatto pareggiarne una. L’unica sconfitta indiscussa ci fu proprio l’unica volta in cui due si presentarono separati.
Bossi e Berlusconi. I due uomini politici che più e meglio hanno incarnato l’Italia della seconda repubblica. Gli unici due in grado di capire che cosa fosse realmente questo Paese. Ma tutto questo agli italiani che appaiono, agli italiani che gridano, che scrivono sui social, che firmano sui giornali, tutto questo, dicevo, a determinati italiani non interessa.
Vent’anni dopo ci comportiamo allo stesso modo. Una Procura, anzi tre, indagano, spiattellano sui giornali anche i sospiri delle persone interrogate e i media organizzano e puntellano l’ennesimo processo in pubblica piazza. Processo, va da sé, sommario, altrimenti che Paese sarebbe.
Sia chiaro, la magistratura faccia il suo corso, indaghi, ci mancherebbe, poi però si svolga un regolare processo. E, soprattutto, la politica si ricordi che nessun processo sommario potrà avere ripercussioni sul voto degli italiani. È davvero da ingenui credere che un fenomeno come quello della Lega possa essere liquidato dall’inquisitoria di tre pubblici ministeri. Un fenomeno ultraventennale che ha rappresentato milioni di italiani come non accadeva – mi si perdoni il paragone – dai tempi del Partito comunista italiano.
E del resto, solo in un partito comunista (nemmeno italiano, mai dei paese realmente socialisti), il leader poteva sopravvivere alla propria malattia senza che nessuno, dico nessuno (neanche un furbo ministro dell’Interno), fosse in grado di dichiarargli guerra pubblicamente. Lui, infermo, è sempre stato di gran lunga più forte di qualsiasi rivale sano.
La Lega e Umberto Bossi hanno incarnato una fetta consistente dell’Italia. Sarebbe il caso che anche i giornalisti cominciassero a cercare di capire questo fenomeno invece di ridurre tutto a congiuntivi sbagliati (al Trota glieli attribuiscono mal coniugati anche quando parla correttamente), ignoranza crassa e familismi amorali. La storia non la fanno i pubblici ministeri. Vent’anni dopo mi sarei aspettato che noi giornalisti almeno questa piccola lezione l’avessimo capita.