La Cina fa paura e l’Occidente scopre che in Africa ci sono sanguinari dittatori

La Cina fa paura e l’Occidente scopre che in Africa ci sono sanguinari dittatori

Ormai lo sappiamo, la Corte speciale per la Sierra Leone, con sede all’Aja, ha dichiarato l’ex Presidente liberiano Charles Taylor “penalmente responsabile” per crimini di guerra e crimini contro l’umanità compiuti durante la guerra civile in Sierra Leone, dal 1991 al 2001. Nel dettaglio, la sentenza del giudice Richard Lussick accusa Taylor di aver favorito e appoggiato i ribelli del Ruf (Fronte rivoluzionario unito), attivi in Sierra Leone dagli anni Novanta. Bene che finalmente l’Occidente si muova e che uno come Taylor sia condannato. Colpisce tuttavia che lo faccia solo ora quando la crescente presente cinese nel Continente Nero mette a repentaglio lo storico dominio europeo. Taylor è il primo sanguinario dittatore africano?

Undici i capi d’accusa, fra i quali atti di terrorismo, stupri, schiavitù sessuale, reclutamento di minori e riduzione in schiavitù. Taylor ha appoggiato i sanguinosi ribelli del Ruf procurando loro armi e rifornimenti in cambio di potere sul territorio e diamanti. E proprio per vicende legate al traffico di diamanti insanguinati era stata coinvolta nel processo come testimone la modella Naomi Campbell, a cui Taylor regalò alcuni preziosi.

La storia – Charles Taylor è un signore della guerra divenuto capo politico. Nato 64 anni fa negli Stati Uniti, giunge in Liberia per appoggiare Samuel Doe nel colpo di Stato del 1980. Sotto il governo di Doe, riveste un’importante carica presso l’Agenzia dei Servizi Generali della Liberia, ma a seguito di accuse di appropriazione indebita di fondi pubblici, fugge negli Stati Uniti, dove nel 1983 viene arrestato in attesa di estradizione. Due anni dopo, riesce ad evadere dal carcere in cui è detenuto, nel Massachusetts, e torna in Africa, dove trascorre un periodo alla corte libica di Gheddafi. È qui che avviene il suo addestramento militare. Grazie all’aiuto di Gheddafi, torna in Liberia,  forma un gruppo di combattenti e cavalca l’onda della cosiddetta “prima guerra civile” del Paese, che culmina nel 1990 con il rovesciamento e l’assassinio di Samuel Doe. Qualche anno dopo, nel 1997, Taylor viene eletto Presidente della Liberia, carica che ricoprirà fino al 2003. In quell’anno, infatti, viene incriminato per il ruolo svolto nella guerra civile che insanguina la Sierra Leone, nazione che è fra le principali produttrici di cacao al mondo. Intanto, in Liberia scoppia la seconda guerra civile, e Taylor è costretto alle dimissioni e all’esilio. Nel 2006 la Nigeria, Paese in cui aveva trovato rifugio, su pressioni del Presidente degli Stati Uniti George W. Bush, acconsente a rilasciare Taylor, che viene catturato mentre tenta di raggiungere il Camerun.

La sentenza finale di questo processo iniziato nel 2006 sarà emessa il 30 maggio; la condanna verrà scontata in Gran Bretagna. Ma basta questo perché giustizia sia fatta? Taylor ha indubbiamente contribuito a scrivere una delle pagine più sanguinose di questi anni, ma non è stato il solo; eppure, i tribunali internazionali non s’impegnano sempre allo stesso modo nei confronti di chi si macchia di crimini contro l’umanità.
 

Human Rights Watch ha salutato il verdetto con entusiasmo, perché si tratta della prima condanna a un ex capo di Stato africano e rappresenta, secondo l’associazione, un monito ai più potenti leader sanguinari. Ma dall’altro lato, ci si chiede se la “giustizia internazionale”, di chiaro stampo occidente-centrico, in questo caso non abbia rappresentato un (altro) modo di proseguire la politica e affermare le gerarchie di potere con altri mezzi. Soprattutto appunto in un momento come questo, in cui l’Africa attira esplicitamente le attenzioni della super potenza cinese. L’utilizzo politico della giustizia è qualcosa che all’Aja conoscono bene. 
 

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