La Nord Corea, alla fine, ha lanciato il suo missile, ignorando ogni appello della comunità internazionale spaventata dalle possibili conseguenze. La ricorrenza era importante: occorreva festeggiare i cento anni dalla nascita di Kim-Il -Sung, il Grande Leader e allo stesso tempo sottolineare l’ascesa al potere di Kim Jong-Un. In grande stile. Ma la grande minaccia si è spenta subito. Il missile è precipitato nel Mar Giallo, spezzandosi in almeno venti pezzi. Un risultato che ha imbarazzato Pongyang. Per la prima volta la Corea ha ammesso in via pubblica il suo fiasco.
Secondo l’agenzia nordcoreana Kcna (Korean Central News Agency), il missile era un vettore, chiamato Unha-3 e avrebbe dovuto spedire in orbita un satellite per analisi meteorologiche. Secondo gli Stati Uniti e la Sud Corea, invece, si è trattato del lancio di un missile balistico intercontinentale Taepodong2, che può percorrere dai seimila ai novemila chilometri. Ma ne ha fatti poco più di cento, prima di cadere in mare a più di cento chilometri da Seul. Un disastro.
Il tentativo, però, ha subito messo in allarme la comunità internazionale. L’Onu, convocato per le dieci del mattino (ora di New York) ha definito «deplorevole» l’azione di Pyongyang. Per la Casa Bianca, poi, nonostante il fallimento, il lancio è una «minaccia alla sicurezza della regione, viola la legge internazionale e contravviene gli impegni presi dalla stessa Corea».
Il riferimento è sia alle risoluzioni prese dal consiglio di sicurezza dell’Onu, che vietano alla Corea del Nord lo sviluppo di tecnologie per il lancio di missili ad ampio raggio, sia all’accordo preso da Pyongyang con gli Stati Uniti lo scorso febbraio. La Corea avrebbe cessato le operazioni di arricchimento dell’uranio e lo sviluppo della tecnologia dei missili e, in cambio,gli Stati Uniti avrebbero fornito 240.000 tonnellate di aiuti alimentari. A questo proposito, gli Stati Uniti avrebbero congelato l’invio degli aiuti.