CHICAGO – Pare incredibile ma il primo maggio è nato nel paese dove i sindacati oggi hanno un peso politico poco rilevante. Ma così è. L’origine del giornata dei lavoratori è americana almeno quanto la torta di mele e gli hot dog e ha visto i suoi albori in quella che Marco d’Eramo, vecchio corrispondente del Manifesto a Chicago, chiamava «La più americana di tutte le città». La festa del lavoro non nacque neanche come spesso viene raccontato in risposta al rogo della fabbrica di Triangle Shirtwaist a New York dove nel 1911 146 donne – la maggior parte immigrate italiane e ebree – morirono perché chiuse a chiave da padroni impauriti dalla possibilità che si concedessero pause non permesse.
L’origine è invece di fine 19 esimo secolo. La prima onda di emigrazione in America, composta principalmente da tedeschi e boemi, si era appena consumata. Mancava ancora qualche anno all’inizio della seconda (composta principalmente da italiani, greci e gente dall’Europa dell’Est). A Chicago l’industria era in fermento: era allo stesso tempo “macelleria del mondo” (qui veniva prodotto la maggior quantità di carne suina del globo) e “granaio d’America” grazie alle enormi praterie del Mid West che si aprivano sconfinate appena dopo i limiti della cittadini. A sostenere i due primati c’era l’enorme massa lavoro degli operai immigrati. Senza sicurezza, versando in condizioni al limite della sopravvivenza e con una media tra le dodici e le sedici ore lavorative quotidiane, portavano avanti la produzione. Bastò poco perché quei ritmi portassero al manifestarsi delle prime ondate di scontento.
Nel 1884 l’allora Federation of Organized Trades and Labor Unions dichiarò che dal 1 maggio del 1886 gli operai avrebbero accettato solamente una giornata lavorativa di otto ore con la minaccia implicita che se i padroni non avessero accettato sarebbero susseguiti scioperi e picchetti. E così infatti fu. Nei mesi precedenti alla fatidica data le tensioni tra i sindacati, le organizzazioni del lavoro, la polizia e l’amministrazione cittadina crearono un’atmosfera così cupa che il quotidiano della città, il Chicago Tribune, descrisse come «senza precedenti».
Poi nel febbraio del 1886 gli operai della McCormick, una delle compagnie più importanti della città e ancora oggi una delle famiglie più in vista della Windy City, cominciarono a scioperare. In risposta i McCormick chiusero i cancelli in modo da bloccare i lavoratori e far entrare di sotterfugio gli strikebreakers (il termine americano per “crumiro”) nel tentativo di spezzettare il fronte dei manifestanti. Ma la manovra non bastò; anzi i manifestanti reagirono indignati: come promesso due anni prima, il primo maggio tra le 30 e le 40 mila persone (allora numeri imponenti) manifestarono per la giornata lavorativa di otto ore. Non contenti due giorni dopo si trasferirono direttamente davanti alla sede della fabbrica per dimostrate la propria solidarietà agli operai accampati ormai da mesi davanti ai cancelli. All’interno i neo assunti continuavano a lavorare protetti da circa 400 poliziotti messi a disposizione dall’Amministrazione.
Alla guida della protesta l’allora direttore dell’Arbeiter-Zeitung (il Corriere dei lavoratori), August Spies che, nonostante i richiami all’azione pacifica, non riuscì a fermare un tentativo di assalto di alcuni manifestanti sugli strikebreakers. Senza indugio la polizia aprì il fuoco uccidendo due manifestanti (alcune fonti dicono sei). Allarmate le organizzazioni locali si adoperarono per convocare una riunione nella piazza di Haymarket, nel centro nord della città, al tempo una delle zone commerciali più vive. Il comizio, anche questa volta presieduto da Spies, si tenne la sera e vide la partecipazione di tremila lavoratori.
Un’incisione del periodo, oggi conservata dal Chicago Historical Society, mostra uno Spies barbuto e trafelato, in piedi su un carretto sovrastante la folla proprio nel momento dello scoppio della fatidica bomba che scatenò poi i nuovi violenti scontri tra la polizia e i manifestanti. Il New York Times (allora con un a linea editoriale molto meno liberal e comprensiva di adesso) titolò rampante: “La mano rossa degli anarchici” e nel pezzo accusò l’organizzazione parasindacale dei Knights of Labor (legata a Spies) si essere la mente dietro al “complotto eversivo”.
Non si è mai saputo se fosse vero come non si è mai scoperto chi fosse l’attentatore. Ma nonostante questo, la violenta narrativa anti anarchica che si scatenò all’epoca non diede scampo agli otto accusati. Questi furono prontamente condannati (sette a morte e uno a 15 anni di galera) anche se la giuria alla fine fu costretta ad ammettere che nessuno degli imputati poteva essere considerato responsabile diretto del lancio dell’ordigno. Poi sotto la crescente protesta popolare nel 1893 furono finalmente graziati dall’allora governatore dell’Illinois John Peter Altgeld.
Il contenzioso storico non finì però con il tentativo di pacificazione. Più di un secolo dopo lo studioso e docente americano Paul Avrich specializzato nella storia dell’anarchia in Russia e negli Stati Uniti, nel suo libro del 1984, “The Haymnerket Tragedy” (già il termine connota una sorta di rivalutazione storica data la tendenza generale a chiamare l’evento con la denominazione di Haymarket affair), scrive: «In alcune storiografie prevale l’opinione che la riunione (di Haymarket, ndr) sia stata indetta con l’intento di far scattare un sommossa. Tuttavia lasciatemi dire che quel comizio non fu organizzato per quel motivo, ma per ragioni opposte: fu pianificato per spiegare nel dettaglio quali fossero davvero le richieste connesse a una giornata lavorativa di otto ore».
Fu forse la pubblicazione del libro che spinse la città Chicago ad accettare gli incidenti di Haymarket come parte integrante della sua storia. Oggi infatti una statua in pesante metallo grigio raffigurante una donna incappucciata, dal pugno destro chiuso e il grugno deciso, è stata innalzata sul luogo della strage ed è dedicata ai “martiri di Haymarket”. E nella più americana delle città, nel paese dove i diritti dei lavoratori sono pochi (anche se i salari sono più alti) e il primo maggio non è una vacanza, gruppi di simpatizzanti anarchici o socialisti (sempre, va ricordato, all’americana) si recano in pellegrinaggio sullo stipite del monumento.
Non solo: in Illinois, uno degli ultimi stati americani dove i sindacati ancora contano qualcosa (gli altri sono Michigan, Wisconsin e Ohio), il primo maggio è come in Europa tradizionalmente occasione di manifestazioni. Quest’anno sarà lo stesso con l’eccezione che le proteste con ogni probabilità saranno più grandi data la presenza in città del summit Nato, dall’11 al 13 maggio, che ironicamente si terrà proprio al McCormick center.