Squadra che vince non si cambia. Dopo aver promesso che avrebbero realizzato utili per 50 milioni di euro, l’estate scorsa i vertici del gruppo Fondiaria Sai hanno raccolto 800 milioni. Promesse da assicuratori: l’esercizio si è chiuso con rosso 1,03 miliardi, e ora ne servono altrettanti per rimettere in sesto il patrimonio. Ma per non farsi mancare nulla, i Ligresti, gli altri amministratori e i dirigenti strategici hanno pensato di premiarsi con 31 milioni di compensi. Per ogni euro ricevuto ne hanno fatto perdere 33 alla compagnia.
Nulla però sembra turbare la convinzione dei Ligresti e degli altri amministratori di poter attingere senza riserve alla tolleranza delle autorità di controllo e alla disponibilità del pubblico risparmio. Così il cda della compagnia è pronto a farsi rinnovare il mandato, come se nulla fosse, e a presentarsi al mercato per chiedere altri 1,1 miliardi. Oltre a se stessi, i vertici della Fondiaria Sai non hanno avuto dubbi di sorta nel confermare Fulvio Gismondi, dello studio Gismondi & Associati (v. curriculum professionale), nel ruolo di attuario, figura professionale di cruciale importanza per una compagnia assicurativa.
L’attuario è il tecnico specialista delle assicurazioni, esperto di statistica e finanza: dalla sua relazione devono risultare «i principi di calcolo e i procedimenti tecnici utilizzati per la determinazione delle riserve e l’attestazione della loro sufficienza, come previsto dal D.Lgs. 209/05». E così ha fatto finora il professor Gismondi, titolare della cattedra di matematica finanziaria e attuariale alla Guglielmo Marconi, università telematica di Roma: attestare l’adeguatezza delle riserve assicurative di Fondiaria Sai e della controllata Milano Assicurazioni. Di fronte alle autorità di vigilanza, ai soci delle compagnie e agli assicurati. A fine 2011, però, dopo una tardiva ispezione dell’Isvap, l’autorità di vigilanza delle assicurazioni, sono emerse «anomalie e disfunzioni derivanti dall’assenza di procedure formalizzate e adeguati sistemi di controllo».
Il risultato è che Fon-Sai ha dovuto “rivalutare le riserve tecniche” per 810 milioni. La terminologia non deve ingannare: in una compagnia assicurativa le riserve non sono patrimonio netto ma debiti verso gli assicurati. Sono, come spiegano gli esperti, «una sorta di fondo di accantonamento creato per far fronte agli impegni derivanti dai contratti di assicurazione». Rivalutare le riserve tecniche significa, perciò, prendere atto che gli accantonamenti effettuati negli anni precedenti non erano sufficienti. Lo sbaglio, nell’ordine di qualche centinaio di milioni, non era tuttavia un inedito. Anche nel 2010, esercizio chiuso con una perdita vicina al miliardo, nel bilancio erano spuntate rivalutazioni di riserve tecniche per 615 milioni.
Di incidenti al professor Gismondi ne sono capitati anche altri. Meno di un anno fa si è conclusa una vicenda che riporta l’orologio indietro al 2005, all’estate dei “furbetti del quartierino”. Uno anno dopo le scalate fallite ad Antonveneta, Bnl ed Rcs, Gismondi di Fon-Sai finì agli arresti domiciliari nell’ambito di una vicenda di tangenti promesse dall’immobiliarista romano Stefano Ricucci per aggiudicarsi gli immobili messi in vendita dall’Enasarco, l’ente di previdenza degli agenti di commercio. Con lui c’erano anche Sergiò Billè, all’epoca presidente di Confcommercio, e Donato Porreca, ex presidente di Enasarco (la cassa previdenziale degli agenti di commercio), di cui Gismondi era consulente. Il 9 maggio 2011 tutti e tre sono stati riconosciuti colpevoli di corruzione e condannati a tre anni di reclusione dal Tribunale di Roma. La condanna è stata però condonata per effetto dell’indulto.
Il racconto di Stefano Ricucci alla Procura di Roma
«Nei primi mesi del 2004, Billè mi presentò Donato Porreca, presidente di Enasarco e Fulvio Gismondi, presidente della fondazione Mario Negri. I tre mi parlarono della gara che avrebbe dovuto fare l’Enasarco per la gestione del patrimonio immobiliare della fondazione: ci furono numerosi incontri in occasione dei quali mi fu fornita tutta la documentazione necessaria per preparare la mia partecipazione alla gara. Io avrei dovuto corrispondere a loro, in caso di aggiudicazione della gara, la somma di 60 milioni di euro, pari al 2% del valore del patrimonio immobiliare di Enasarco. Versai come acconto la somma di 3 milioni, che fu versata su un conto indicatomi da Gismondi. La somma uscì da Magiste verso il mio conto personale in Svizzera, Dodo, da lì fu trasferita sul conto indicatomi da Gismondi. Era un conto della Deutsche di Singapore. La somma doveva essere ripartita secondo queste percentuali: 40% a Billè, 40% a Porreca e 20% a Gismondi. Gismondi avrebbe dovuto curare la costruzione di una finta operazione diretta a mascherare l’uscita». La gara venne poi annullata, e nell’ottobre 2005 Ricucci riebbe indietro i suoi 3 milioni (per maggiori dettagli leggi l’articolo di Repubblica).
Con questi precedenti alle spalle Gismondi è il “notaio assicurativo” che metterà la firma sulle attestazioni di bilancio relative alle riserve tecniche del ramo danni, che è poi la parte più consistente del business del gruppo Fondiaria Sai. Su questa base la compagnia assicurativa dei Ligresti chiederà 1,1 miliardi di capitali freschi al mercato: cioè, dunque ai ai fondi d’investimento, ai fondi pensione e ai risparmiatori. A quanto pare questo non fa problema né all’Isvap né alla Consob né alle banche creditrici, tutti ansiosi di chiudere quanto prima l’operazione. La forza di chi ha affossato una compagnia assicurativa per miliardi di euro è nelle debolezze e nelle manchevolezze del sistema di governo della finanza italiana.
Twitter: @lorenzodilena