Al termine di un tour de force negoziale concluso con i consigli di amministrazione di ieri, i Ligresti e Carlo Cimbri (Unipol) si sono messi d’accordo così: la Premafin, la holding quotata della famiglia di costruttori, farà un aumento di capitale fino a 400 milioni, Unipol sottoscriverà l’aumento al prezzo di 0,195 e avrà l’83% circa della holding post-aumento. Premafin viene valutata 80 milioni circa, i vecchi azionisti verranno diluiti al 16,7 per cento. Includendo nel computo anche le quote detenute attraverso le società off shore, la famiglia Ligresti avrà una quota del 11,6% della Premafin post-aumento: potrà liquidarla in sede di fusione a quattro fra Unipol Assicurazioni, Premafin, Fondiaria Sai e Milano Assicurazioni, incassando circa 70 milioni, tramite esercizio del diritto di recesso. Più la garanzia di un lauto stipendio per tre anni e il salvacondotto su eventuali cause civili. La meritata ricompensa per chi ha messo in ginocchio, con pratiche oltre ogni limite di correttezza, un gruppo assicurativo che gestisce oltre 30 miliardi di euro e ora ha bisogno di un aumento di capitale da 1,1 miliardi.
ll diktat. Le trattative prolungate hanno subito un’accelerazione dopo che il cda di Unipol ha imposto un diktat “inscindibile” ai Ligresti e alla Fondiaria Sai: primo, il gruppo bolognese non è disposto a pagare le azioni Premafin di nuova emissione più di 0,195 euro cadauna; secondo, i rapporti di concambio per la fusione a 4 devono essere fissati in modo tale che la partecipazione finale di Unipol, nel nuovo gruppo, «sia pari al 66,7%, fatti salvi eventuali arrotondamenti».
La contraddizione. Ai Ligresti viene assicurato un contentino più ridotto rispetto alle aspettative (prima della sospensione, ieri il titolo quotava a 0,29 euro), ma comunque in grado di garantire i prestiti delle banche creditrici esposte per circa 300 milioni verso Premafin, e superiore al valore di mercato del patrimonio netto della holding. Nello stesso tempo, forte dell’appoggio delle banche creditrici – e in particolare di Unicredit e di Mediobanca, rispettivamente esposte per circa 500 milioni e per 1,1 miliardi – Unipol si vuole rifare sulla valutazione di FonSai, a danno degli azionisti di minoranza della società. Queste due condizioni “inscindibilmente legate” sono in clamorosa contraddizione fra di loro: da un lato, infatti, Unipol valuta implicitamente le azioni FonSai in mano a Premafin a 3,38 euro (contro 3,95 euro stabiliti dal cda della stessa holding e 0,8-0,9 euro dell’attuale prezzo di mercato); dall’altro, in sede di fusione, la compagnia bolognese abbassa il valore del 100% di FonSai in misura tale da avere il 66,7% della nuova entità che nascerà dall’aggregazione a quattro.
Il cda di FonSai farà gli interessi di chi? Le pretese di Cimbri si scontrano con le indicazioni dei consulenti del cda di Fondiaria Sai e di quelli dei consiglieri indipendenti. Gli uni e gli altri suggeriscono una forbice di rapporti di concambio che determinerebbe una partecipazione di Unipol intorno al 60%, o addirittura inferiore. Si apre quindi una questione non da poco: il cda di Fondiaria, presieduto tuttora da Jonella Ligresti e composto da amministratori legati alla famiglia, avrà la forza per decidere autonomamente oppure accetterà quello che è stato deciso al di fuori dello stesso consiglio? L’operazione ha poi l’effetto di scaricare sulla compagnia i debiti di Premafin, a tutto vantaggio delle banche creditrici che avranno così un debitore più solido ma a danno della solidità di FonSai, con un risultato opposto a quello che si vuole conseguire con la ricapitalizzazione. Il cda della compagnia e quello della controllata Milano hanno comunque rinviato la decisione rispettivamente al 19 e al 20 aprile.
La denuncia di Sator e Palladio. Le perplessità sull’operazione sono state messe per iscritto dalla Sator di Matteo Arpe e dalla Palladio guidata da Giorgio Drago e Roberto Meneguzzo, che definiscono l’accordo«privo per FonSai di qualunque ragione giuridica, economica, industriale e finanziaria». Le due società, che detengono complessivamente l’8% di FonSai, hanno scritto agli amministratori e al collegio sindacale intimando ai primi di agire «secondo i parametri di corretta gestione e necessaria diligenza nell’esclusivo interesse della Società e non limitarsi a confidare che le decisioni ed operazioni poste in essere nell’interesse di soggetti terzi trovino attuazione», e ai sindaci di «accertare e verificare in continuo» sui comportamenti, fornendo i necessari chiarimenti anche ai sensi dell’articolo 2408 del Codice civile (denuncia di fatti censurabili).
Richiesta di fallimento per Imco e Sinergia. La denuncia di Sator e Palladio potrebbe aprire nuovi scenari sull’inchiesta avviata dalla Procura di Milano sul dissesto del gruppo. Meno di un mese fa, infatti, è stata un’altra denuncia, sempre ai sensi dell’articolo 2408 c.c., presentata dal fondo Amber, ad imprimere un’accelerazione all’inchiesta coordinata dal pm Luigi Orsi. Finora, la Procura si è mossa con molta prudenza, attenta a non turbare l’operazione di salvataggio affidata a Unipol ma congegnata da Mediobanca e Unicredit. Sulle società a monte della catena, invece, il pm Orsi ha appena chiesto il fallimento delle holding Imco e Sinergia, che detengono il 20% di Premafin e insieme hanno un deficit patrimoniale di circa 100 milioni. Il provvedimento, secondo l’agenzia Radiocor, è stato depositato ieri. A questa mossa della Procura è probabile che le società rispondano chiedendo una ristrutturazione dei debiti ex articolo 182 bis della legge fallimentare o il concordato preventivo: in entrambi i casi l’accordo con i creditori andrà omologato dal tribunale. Secondo l’Ansa, la richiesta di fallimento aprirebbe la possibilità, sotto il profilo penale, di procedere per bancarotta fraudolenta, che si aggiungerebbe ai reati fin qui ipotizzati (aggiotaggio, insider trading, false comunicazioni sociali, ostacolo alle autorità di vigilanza).
Incognita su Premafin. Salvo colpi di scena, invece, per Premafin dovrebbe bastare un piano di risanamento ex articolo 67 della legge fallimentare. Questa procedura non comporta l’intervento del tribunale ma solo un’attestazione di ragionevolezza del piano da parte di un professionista, peraltro già rilasciata dal commercialista Ezio Maria Simonelli. Uno schema di salvataggio che però mal si concilia con la denuncia di Sator e Palladio: «Premafin è una holding di mera partecipazione che versa in stato di decozione ed in grado esclusivamente di ridurre, apportandovi i propri debiti, il patrimonio netto della società risultante dalla programmata fusione e così, tra l’altro, di produrre un effetto negativo di 16 (sedici) punti percentuali sul margine di solvibilità della stessa».
Twitter: @lorenzodilena
ultimo aggiornamento alle 15:53