«Mutuo in ritardo, Equitalia mi ha pignorato l’immobile e prestito in sofferenza. Mi basterebbe rilanciare la mia impresa per poter uscire da questo burrone che ormai non mi fa più dormire». Quella di Luigi è una delle tante richieste di aiuto che ogni giorno arrivano sul sito di “Terraferma”, la rete di psicologi creata dal movimento “Imprese che resistono” per dare ascolto agli imprenditori finiti nella morsa della crisi economica. Scrivono, raccontano la propria storia e lasciano il numero di cellulare per essere ricontattati. Altre volte sono proprio loro a telefonare. «Ci siamo inventati questa piattaforma per far fronte alla continua crescita dei suicidi», spiega Luca Peotta, fondatore e animatore di “Imprese che resistono”, «ogni giorno ricevo e-mail e telefonate di gente disperata».
Secondo l’ultimo rapporto Eures “Il suicidio in Italia al tempo della crisi”, nel biennio 2009-2010 si sono registrati 200 casi di suicidi all’anno. E dai primi mesi del 2012 ventiquattro imprenditori hanno deciso di togliersi la vita. «Purtroppo i suicidi hanno toccato anche “Imprese che resistono”», continua Peotta, «uno degli aderenti al movimento si è sparato al petto. Noi chiediamo all’imprenditore di tornare sui propri passi e parlarne con un esperto, spesso non si parla con gli amici delle difficoltà della propria azienda perché si prova vergogna».
All’iniziativa, partita a gennaio, hanno già aderito 25 psicologi da ogni parte d’Italia. Tutti di propria iniziativa. «Sono una psicologa di Lecce e voglio aderire alla rete», si legge. E ancora: «Sono una psicologa del lavoro dell’Umbria e vorrei aderire all’iniziativa». Chi telefona sceglie lo psicologo più vicino alla propria località di residenza, in modo da creare un rapporto personale e continuativo. Il primo contatto è gratuito, poi si stabilisce un prezzo in base alle possibilità dell’imprenditore. «Certo gli psicologi che hanno aderito a “Terraferma” puntano a salvare l’imprenditore, non a guadagnare», assicura Peotta.
Le richieste di aiuto da parte degli imprenditori in difficoltà sono in media tre al giorno. «Il problema», ribadisce Peotta, «è quando ti sequestrano tutto. Assistiamo a situazioni di vera e propria disperazione». Un esempio? «Stamattina mi ha chiamato un parrucchiere a cui hanno pignorato la casa. Mi ha detto: “Non ho evaso, è che non avevo i soldi per pagare le multe di Equitalia”». E anche solo rispondere al telefono e ascoltare le storie è «importante per chi chiede aiuto, perché la gente non è più abituata a parlare». La parola più frequente tra i messaggi lasciati sul sito di “Terraferma” è «disperazione». Le richieste di aiuto arrivano da ogni parte d’Italia e da diversi settori industriali. «Cosa debbo fare? Andare dagli strozzini oppure suicidarmi come hanno fatto gli altri imprenditori?», si chiede Massimo, artigiano che lavora il ferro. «Noi facciamo capire», dice Peotta, «che disperarsi non serve a nulla e si affronta insieme la situazione con l’aiuto degli psicologi».
Il problema, continua, «è che spesso ci chiamano quando è tutto già avvenuto. Una volta che c’è un pignoramento esecutivo, non si guarda in faccia a nessuno». Ma, ribadisce, «non è che queste persone non hanno pagato le tasse per comparsi il Porsche, ma hanno pagato i dipendenti e l’affitto dell’azienda nella speranza di ricominciare a lavorare». Senza dimenticare che molte delle aziende che versano in condizioni disastrose aspettano ancora i pagamenti da parte della pubblica amministrazione per i servizi che hanno fornito: 90 miliardi di euro che lo Stato deve ai suoi creditori. «Quello stesso Stato che ti pignora la casa e che non ti fa lavorare più se non sei in regola con le tasse», sottolinea Peotta. È il caso di «un imprenditore che si occupava della raccolta pubblica del pattume. Da anni non gli venivano pagati dallo Stato gli oneri per lo smaltimento. Lui ha lavorato coprendo le spese con i suoi soldi, ma a un certo punto non ce l’ha fatta più e per pagare gli stipendi dei dipendenti ha smesso di pagar loro i contributi. Così non gli è stato rinnovato l’appalto perché non aveva la documentazione in regola per partecipare alla gara».
Dopo quasi tre anni dalla nascita di “Imprese che resistono”, le piccole e medie aziende che hanno aderito alla rete sono più di 4 mila. Il movimento è nato nel maggio del 2009, quando Luca Peotta ha riunito quaranta imprenditori nella saletta comunale di Moretta, in provincia di Cuneo. In quel momento l’azienda di Peotta, la Refron di Villafalletto, subiva i primi colpi della crisi economica. «Il telefono non squillava, gli ordini erano assenti», racconta. «Ho capito che il problema non era solo mio e che serviva una condivisione». Tutto è partito da un blog, nel quale Peotta raccontava la sua condizione di imprenditore in difficoltà. «Cominciai a scrivere i miei pensieri, dandomi da solo le risposte sotto falso nome». Tra i primi post, ce n’è uno nel quale il titolare della Refron racconta del piazzale dell’azienda vuoto, di operai in cassa integrazione e della polvere che si accumulava sulle macchine non più in funzione. La domanda era: «Quando ripuliremo tutto per ricominciare a lavorare?». A distanza di quasi tre anni, la Refron, seppur in piccolo, ha ricominciato a lavorare. E il blog da 64 mila contatti all’anno ha superato ormai il mezzo milione. Il problema, conclude Peotta, restano «le istituzioni scollegate dall’economia reale e una politica che ha paura di prendere una decisione che punti allo sviluppo. E questo è inconcepibile per noi imprenditori abituati a prendere decisioni velocemente».