MILANO – Sul campetto in erba sintetica dell’oratorio della Beata Vergine Addolorata, i ragazzini urlano in arabo, francese, italiano. La maggior parte di loro, infatti, è composta da figli di immigrati nordafricani. Sono musulmani, ma ogni giorno giocano a pallone sotto il campanile, insieme ad altri coetanei filippini, sudamericani e, ovviamente, italiani (cristiani e cattolici). A pochi metri da questo oratorio c’è la famosa scuola elementare di via Paravia, fulcro di discussioni, confronti e infinite polemiche su immigrazione e integrazione a Milano.
«Quest’anno – racconta don Donato, parroco della Beata Vergine – su 35 ragazzini che faranno comunione e cresima, una buona metà è di origine straniera. Ed è di origine straniera anche il 50% di quelli che frequentano l’oratorio la domenica o l’oratorio estivo, che conta di solito 120-150 iscritti. Alcuni di loro, e addirittura alcuni degli educatori, sono musulmani. Non fanno i sacramenti, ma vengono qui a giocare. Qualche anno fa eravamo un po’ in crisi, vero. Ma il sacerdote che è stato qui con me fino all’anno scorso ha dato un grande impulso all’oratorio, e ora i numeri sono buoni. E, sì, direi che c’è proprio una bella integrazione».
Vuoi il posto fisso? Fatti prete. Della brillante campagna pubblicitaria della chiesa spagnola e della crisi di fede e vocazione più o meno diffusa in tutto il mondo occidentale si è parlato e si continua a parlare a sufficienza. Ma come vanno concretamente le cose laddove don e sacerdoti aiutano a crescere i fedeli di domani, ossia nelle parrocchie e negli oratori?
Guardando una metropoli come Milano – e la sua arcidiocesi, che copre buona parte della Lombardia (1100 parrocchie) – verrebbe da pensare che tra secolarizzazione galoppante, diminuzione del tasso di natalità autoctono e aumento dell’immigrazione, gli oratori non se la passino poi così tanto bene. Ma attenzione a tirare troppo in fretta le somme perché i numeri, quando disponibili, e le voci di chi vive tra sacrestie e campi di calcio dicono ben altro.
«L’oratorio è una realtà imprendibile», spiega Don Samuele Marelli, direttore della Fondazione Oratori Milanesi. «È un sistema complesso, a più strati. Presenta alcune attività relativamente facili da misurare, e altre per cui è veramente difficile avere una percezione complessiva». Dunque, raccogliere dati e statistiche sullo stato di salute degli oratori milanesi risulta impresa ardua.
La Diocesi di Milano, per esempio, non dispone di numeri ufficiali riguardo l’andamento di comunioni e cresime celebrate negli ultimi dieci anni. Ma, interpellata sul tema, fa sapere che, stando a stime elaborate per uso interno, il trend è comunque positivo (nell’intera arcidiocesi, la cifra di comunioni e cresime nel 2011 si aggira intorno alle 35/40mila, nel 2001 erano 30mila).
Lo stesso Don Samuele tiene a illustrare i risultati di una ricerca della Caritas sui doposcuola negli oratori (risalente alla fine del 2010) che confermerebbe, almeno in teoria, la crescita del numero di comunioni e cresime, rispecchiando la realtà di molti oratori milanesi e smontando soprattutto il luogo comune dell’invasione islamica: «È vero che aumentano i ragazzi stranieri, ma è anche vero che la maggior parte degli stranieri a Milano sono sudamericani, e quindi cristiani».
Guardando i dati del comune di Milano (fermi al 31 dicembre 2010), il 15% degli stranieri residenti in città proviene dalle Filippine (paese asiatico, d’accordo, ma a maggioranza cristiana). Poi, dopo la consistente comunità egiziana (13,2%) e quella cinese (8,7%), vengono peruviani (8,1%) ed ecuadoregni (6,2%).
Questi i dati della Caritas: quasi il 60% dei ragazzini che frequentano i doposcuola organizzati nelle parrocchie milanesi è di origine straniera, e la percentuale scende a circa il 40% se si estende la ricerca all’intera diocesi (su un totale di quasi 6.000 ragazzi e 267 doposcuola, di cui un’ottantina nella sola Milano). «L’oratorio non chiude, – fa notare don Samuele – tutt’al più cambia».
Padre Alberto è il responsabile dell’oratorio della parrocchia San Giuseppe Calasanzio, sempre in zona San Siro, a meno di due chilometri dalla Beata Vergine di don Donato. Ammette lui stesso di vivere all’interno di «una sorta di enclave»: il suo è un quartiere residenziale benestante, a un passo però da uno dei più grandi complessi di case popolari di Milano e dalla scuola elementare di via Paravia. Ma quello di padre Alberto è un punto di osservazione privilegiato perché, oltre a essere operativo nella stessa parrocchia da 18 anni, è nato proprio in questo quartiere 46 anni fa: «L’oratorio va ad annate. Ci sono anni difficili, in cui devi combattere, e anni più tranquilli. Nei palazzi qui intorno ora vivono tanti anziani e molte delle famiglie che hanno figli tendono a tenerli in casa. Ma alla fine, su un’area di riferimento di circa 10mila persone, abbiamo 280 bambini che frequentano il catechismo, e alcuni di loro sono figli di immigrati».
A Padre Alberto capita di volantinare per gli eventi organizzati all’interno della sua parrocchia davanti a scuole più lontane, compresi quegli istituti dove la percentuale di ragazzini stranieri è altissima. Come reagiscono? «La risposta è buona, ma dipende naturalmente molto dall’apertura della famiglia». Chiaro che iniziative come il doposcuola, o semplici attività ricreative come quelle quotidianamente svolte sui campetti degli oratori, rimangono notevoli soluzioni d’aiuto per le famiglie meno abbienti, italiane o immigrate da altri paesi che siano.
Di conseguenza, le figure che cominciano più spesso a mancare negli oratori non sono tanto i ragazzini che giocano a calcio o pallavolo, ma i giovani che insegnano il catechismo, organizzano i cineforum o seguono gli oratori estivi. Perché da sempre, e ora con maggior frequenza, i ragazzi crescono e si allontanano. Padre Alberto fa una previsione: «Se solitamente si dice “ogni campanile a sé”, in futuro potrebbe esserci bisogno di una vera collaborazione fra parrocchie limitrofe, percorsi condivisi e attività coordinate e seguite da figure comuni».
Non è un caso, forse, che proprio la Fondazione Oratori Milanesi, da un po’ di anni a questa parte, pubblichi una vera e propria offerta di lavoro rivolta a coordinatori ed educatori degli oratori estivi. «Ci poniamo come intermediari tra domanda e offerta – spiega don Samuele – Da una parte gli oratori, dall’altra giovani che frequentano corsi universitari come Scienze dell’Educazione o Formazione che hanno già imboccato un percorso di fede. L’oratorio continua a basarsi sul volontariato, ma ci sono situazioni educative per cui si ritiene opportuno avere profili specifici più preparati. In questo caso, sono ragazzi che vanno in parrocchie diverse dalle loro per coordinare l’oratorio estivo e il rapporto tra volontari, ragazzi e famiglie».
Ogni singola parrocchia stabilisce un determinato tipo di contratto da stipulare e la relativa retribuzione. In questo 2012, hanno risposto all’appello una trentina di giovani: certo, non è un posto fisso da prete, ma sicuramente un santissimo lavoro a tempo determinato.