Da ora in poi si parlerà di “modello Marghera”. Pubblico e privato insieme, per bonificare, ristrutturare, riattivare e introdurre attività produttive: il modello Marghera nasce in questi giorni con un protocollo d’intesa tra governo e enti locali. L’idea è stata del governatore del Veneto Luca Zaia, il ministro Clini l’ha adottata e, guardando all’elenco dei 57 siti di interesse nazionale (i Sin, accorpati sono poco più di 30), si è detto: “perché no?”.
E quindi il modello Marghera potrà andare bene per Broni, con il suo cancro della Fibronit (processo apertosi in questi giorni: 250 parti civili per la strage da amianto); per San Giovanni a Teduccio, periferia orientale di Napoli, e i suoi terreni definiti “imbonificabili” perché imbottiti dai veleni delle raffinerie e dei depositi di carburanti; per Cogoleto, in quel di Genova, con lo scheletro di quello stabilimento, Stoppani, che conciava le pelli e contemporaneamente imbottiva la spiaggia di cromo esavalente; per Priolo, Falconara, Mantova, Ravenna. È quasi infinito l’elenco dei siti da bonificare, le aree perimetrali sono pari a circa 500mila ettari e corrispondono a poco meno del 2% del territorio nazionale. Pari a circa 90mila ettari la perimetrazione delle aree a mare.
Modello Marghera, dunque. Funzionerà così: a fronte di un interesse dei privati, partirà la bonifica su quello specifico fazzoletto di territorio, dove quindi, successivamente, potrà essere insediata l’attività produttiva. E i soldi? Per Marghera ci sono tre miliardi di fondi pubblici (tra ministero, regione, enti locali), poco più di due dai privati. «O così o niente – ci dicono dalla regione Veneto – l’alternativa era lasciare Marghera così com’era, come è sempre stata fino a ora, una terra di nessuno, contaminata e inutile».
Il Sin di Marghera si estende per 5800 ettari di superficie totale (2200 sono gli ettari di area lagunare) di cui 1900 rappresentati dall’area industriale. Sono più di 100 le aziende interessate a porzioni dell’area e che parteciperanno quindi alla bonifica.
Domanda: e per quei terreni che nessuno vorrà “opzionare”? Quale sarà il destino? Risposta, da parte della presidenza della regione Veneto: «Eh ragazza, i soliti ambientalisti hanno protestato. Ma l’alternativa è lasciare un buco nero da 2mila ettari». Risposta, dal ministero dell’Ambiente: «Nessun destino per i terreni poco appetibili, i soldi non ci sono, resteranno così come sono. D’altro canto hanno tanti e tali veleni…». I veleni, per l’appunto: idrocarburi, cromo esavalente, metalli pesanti: tutti i residui di una lavorazione industriale molto pesante e invasiva. Costringere chi ha inquinato a pagare spesso si rivela un’impresa improba, al limite dell’impossibile. Prendiamo il caso della Stoppani: il processo si è concluso con un nulla di fatto a causa della prescrizione. E restano le sostanze nocive interrate.
I Sin sono imbonificabili, se per bonifica intendiamo riportare il territorio allo status quo precedente. «Il nuovo insediamento industriale, a basso impatto ambientale e con tutte le cautele del caso – ci dicono dal ministero – permette di ottenere una bonifica accettabile e soprattutto possibile. Porto Marghera è una zona infrastrutturata e quindi molto appetibile: c’è una lista importante di aziende che vogliono investire in tecnologie innovative, in chimica verde, fonti energetiche rinnovabili e logistica a basso impatto ambientale».
Per il disinquinamento dei 57 siti di bonifica di interesse nazionali sono stati stanziati dal 2001 ad oggi 2,2 miliardi di euro dal ministero dell’Ambiente. Su circa 20 Sin il ministero ha concluso la sua parte di attività, ma l’attività non è finita. Anzi, spesso non è nemmeno cominciata. In base alla legge (decreto 152 del 2006) la competenza è passata a Province e Arpa (agenzie regionali di protezione ambientale), e questo ha poi segnato l’immobilismo di tutta l’attività.