Partiti, se non tagliate la spesa l’antipolitica è sicura

Partiti, se non tagliate la spesa l’antipolitica è sicura

In sede di approvazione del Documento Economico Finanziario per il 2012, PDL, PD e Terzo Polo hanno formalmente invitato il Governo ad assumere provvedimenti finalizzati alla riduzione della pressione fiscale, anzitutto attraverso il reimpiego delle somme recuperate dalla lotta all’evasione.
Quello in atto tra maggioranza e Governo, su questi temi, è veramente un balletto inguardabile.
Per ridurre la pressione fiscale è necessario ridurre la spesa pubblica.

Tra il 2001 e il 2006, quando al governo c’erano PDL e Terzo Polo (oltre alla Lega), la spesa pubblica al netto del costo del debito è lievitata in termini reali del 21,22%.
Tra il 2006 e il 2011, quando al governo c’erano prima il PD (con l’IDV) e poi di nuovo il PDL (sempre con la Lega), la folle corsa della spesa pubblica è stata arrestata, ma non riassorbita, se non in misura minima. In compenso, sempre tra il 2006 e il 2011, la pressione fiscale è stata incrementata dal 40% al 42,5%.

Da novembre 2011, al governo ci sono i tecnici chiamati dal Presidente della Repubblica e sostenuti in parlamento dai partiti che, con le loro scelte e non scelte, ne hanno reso necessario l’avvento.
A tutt’oggi, il Governo tecnico ha proseguito, seppur con maggiore incisività e concretezza, la politica dei due governi che lo hanno reso preceduto: nessun intervento strutturale, concreto e immediato, sullo Stato e sul settore pubblico, solo interventi sul settore privato; arresto della crescita della spesa pubblica, ma riassorbimento minimo del suo precedente e inopinato incremento (nel 2014, stando alle previsioni, sarà ancora superiore a quella del 2000 del 17,44% in termini reali); ulteriore incremento della pressione fiscale di altri 2,5 punti percentuali (dal 42,5% al 45%).

È questo apparente gioco delle tre carte, in cui prima governa uno, poi governa l’altro, poi governa un terzo che però prosegue nella linea di entrambi i precedenti, che alimenta la pericolosa, ma assai comprensibile tentazione di esprimere un voto che sia rivoluzionario, piuttosto che riformatore.
Per lo meno, in assenza di progetti che diano la sensazione di essere riformatori e innovatori non soltanto nella scelta di un nuovo nome.

Al di là di tutto, è un fatto che, nel 2011, la spesa pubblica al netto del costo del debito risulta superiore a quella del 2000, in termini reali, di circa 124 miliardi di euro.
E nel 2014, se le previsioni del DEF saranno rispettate, continuerà ad esserlo di circa 110 miliardi.
Per lo meno, metà di questo incremento non è riconducibile né a dinamiche demografiche e di invecchiamento della popolazione, né a miglioramenti nella qualità dei servizi e delle infrastrutture, rispetto al livello cui si attestavano nel 2000.

Sono quei famosi 60 miliardi di sprechi e non solo, di cui più volte ha parlato nelle sue relazioni il presidente della Corte dei Conti, l’unico alto esponente dell’establishment politico e burocratico a mettere ripetutamente questo problema sullo stesso piano dell’evasione fiscale.
È in questi numeri che vanno cercate le soluzioni; non nelle accuse generiche di antipolitica, o nella pretesa di attribuire una connotazione etica al prelievo fiscale, a prescindere da una valutazione di come quel prelievo viene poi utilizzato.
Altrimenti si fa demagogia di Stato.

* direttore di Eutekne.info

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